“Merito” e “capacità”. Tante promesse contro la lottizzazione Rai e delle aziende pubbliche. Lega e M5S da metà giugno si sono scontrati, prima sotto traccia e poi apertamente, declamando contro la lottizzazione ma trattando sulla divisione delle poltrone. Ma alla fine è andata in porto la spartizione. La prima palla ad andare in buca è stata la guida della Cassa depositi e prestiti: Fabrizio Palermo, gradito a Luigi Di Maio, è stato insediato dal governo M5S-Lega come amministratore delegato della “cassaforte” nella quale sono custodite le azioni delle più importanti aziende pubbliche (Eni, Enel, Poste, Telecom, Fincantieri, Terna, Saipem e Italgas).
Poi è arrivato l’accordo sulla lottizzazione Rai: Fabrizio Salini, apprezzato dai cinquestelle, amministratore delegato (la figura è prevista al posto del direttore generale dalla legge di riforma fatta approvare dal governo Renzi nel 2015), Marcello Foa, sostenuto dai leghisti, presidente. Contatti, riunioni informali, vertici di maggioranza e Consigli dei ministri; la strada della divisione delle nomine è stata faticosa è tortuosa. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha illustrato al Fatto Quotidiano il suo metodo per uscirne indenne: «Il ministro competente fa le proposte, io ne parlo con i due vicepremier, poi le decidiamo insieme. Se non c’è accordo sulla persona più competente, rinviamo per trovarne una migliore».
E così è andata, ma certamente non è stata cancellata la tanto demonizzata lottizzazione Rai in nome della “candidatura migliore”. Di Maio, dopo il Consiglio dei ministri del 27 luglio ha difeso le scelte assunte dal “governo del cambiamento” sulle nomine: «Abbiamo appena nominato i vertici della Rai. Oggi inizia una nuova rivoluzione culturale con i due nomi, Marcello Foa presidente e Fabrizio Salini Ad». Il capo del M5S, vice presidente del Consiglio, ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, ha usato parole forti e offensive: queste nomine «il presidente del consiglio e il Cdm hanno ritenuto all’altezza di questa grande sfida per liberarci dei raccomandati e dei parassiti».
Niente male. Matteo Salvini è stato più pacato. Il segretario della Lega, vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno, ha messo da parte le critiche del passato: «Sono molto soddisfatto, ci sarà spazio per tutte le voci, finalmente. Siamo solo all’inizio».
Strano. Roberto Fico, presidente cinquestelle della Camera, aveva detto basta alle lottizzazioni e aveva messo i partiti fuori della porta: «Deve finire l’era delle appartenenze politiche, dell’influenza del governo sui giornalisti Rai e viceversa. Deve cambiare tutto».
Invece di “cambiare tutto” sono cambiati solo gli autori della spartizione: adesso è stata varata la lottizzazione gialloverde, quella del “governo del cambiamento”. Ma non è detto che la spartizione della Rai decisa dal governo Conte-Di Maio-Salvini vada in porto. Il problema è “il presidente di garanzia”. La legge stabilisce che il presidente dell’azienda radiotelevisiva pubblica sia eletto dalla commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai con una maggioranza qualificata dei due terzi dei voti: M5S e Lega non raggiungono questa soglia e sperano nel soccorso essenziale di Forza Italia per evitare un flop, ma non è per niente scontato il sì dei forzisti. Silvio Berlusconi ha ritenuto le nomine avanzate «un pessimo segnale» perché assunte in maniera unilaterale da parte della maggioranza grilloleghista.
Il centro-sinistra ha sollecitato il presidente di Forza Italia ad evitare un “soccorso azzurro” ed ha annunciato una durissima opposizione. Maurizio Martina ha attaccato: «Va in onda la spartizione tra la Lega e Cinque Stelle». Il segretario del Pd ha ricordato la necessità dei due terzi dei voti per eleggere “il presidente di garanzia” voluto invece solo dai cinquestelle e dai leghisti che «per le poltrone calpestano anche le regole». Insorgono anche i sindacati dei giornalisti contro la lottizzazione Rai. Vittorio Di Trapani (Usigrai), Raffaele Lorusso e Beppe Giulietti (Fnsi) con una lettera aperta ai 7 consiglieri di amministrazione Rai hanno contestato l’indicazione da parte del governo del presidente di viale Mazzini perché «si configura come una palese violazione di legge».
La battaglia si deciderà mercoledì primo agosto. Quando si riunirà la commissione di Vigilanza si vedrà se e come passerà la spallata Salvini-Di Maio sul “presidente di garanzia”.