Con la casa inagibile per una ristrutturazione, in pieno agosto finisco per un paio di settimane a San Lorenzo. Giro per le strade assolate, sporche e disselciate con un caldo che alle 10 del mattino è già insopportabile. C’è poco da vedere. Serrande abbassate, poche auto, pochissimi pedoni. Tutto chiuso. Anche i banchi del mercato nella piazza principale, proprio accanto alla chiesa che sembra spettrale. Non è il classico deserto di Ferragosto, non è lo svuotamento determinato dalle ferie estive.
Quello che vedo attorno a me è qualcosa di più. Sto passeggiando in una zona popolare a ridosso delle mura aureliane e a due passi dalla stazione Termini. Un’area semicentrale che è stata trasformata in un gigantesco residence per gli studenti universitari della vicina Sapienza. Un’area che ha perduto i suoi abitanti e la vecchia identità costruita dai manovali, dagli operai e dagli artigiani arrivati a Roma ai primi del Novecento per lavorare allo sviluppo urbanistico della giovane capitale del Regno d’Italia.
Poi, qualche anno fa è partita la speculazione. Una speculazione stracciona fatta dai proprietari che hanno sfrattato i vecchi inquilini per affittare agli studenti della vicina università.
Spiega un edicolante che vive da una trentina d’anni a San Lorenzo: «Hanno svuotato interi palazzi sfrattando gli inquilini. Tutti, compresi vecchi e malati. Poi hanno tirato su qualche parete di gesso per ricavarne stanze da affittare a studenti. Quasi sempre senza autorizzazioni e senza controlli. Il risultato è che adesso il 20 luglio questo vecchio quartiere chiude insieme alla Sapienza, per riaprire ai primi di settembre».
Ricordo San Lorenzo negli anni Ottanta, quando conservava ancora parte della sua identità. All’epoca lavoravo a “Repubblica” nella vecchia sede di Piazza Indipendenza che sta a due passi. D’estate, all’uscita dal giornale, venivo spesso qui a mangiare o a bere qualcosa con amici e colleghi.
Era piacevole. C’era un’aria di paese che non trovavi più in nessun’altra parte della città. Esistevano ancora le latterie e tanti “vini e oli” che però si stavano trasformando in “vini e cucina”. In genere si mangiava su tovaglie di carta o su quelle a quadretti tipiche delle antiche trattorie romane.
Se diventavi un cliente, finivi spesso per diventare uno di famiglia. Chiacchieravi con i proprietari e conoscevi le loro storie. Per noi clienti abituali poteva capitare perfino di essere chiamati a fare da pacieri tra Romoletto (uno dei nostri osti preferiti) e suo figlio che non smettevano mai di litigare sulla conduzione della trattoria.
Spesso, quando si era fatto tardi Romoletto o il figlio (mai insieme) si sedeva al nostro tavolo per bere l’ultimo bicchiere. Se era in vena raccontava qualcosa della vita del quartiere, un aneddoto su un cliente o su un concorrente. Sì, era piacevole quando a San Lorenzo respiravi quell’aria che aveva conservato anche dopo il bombardamento del 19 luglio 1943, quando gli “alleati americani” per distruggere i binari dello “scalo merci” di San Lorenzo sganciarono quattromila bombe provocando tremila morti.
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