«Attento a quando entri! Frena lo slancio, puoi finire direttamente sul terrazzo!». Franco Carrera amava scherzare, prima di tutto su se stesso. Franco viveva a Roma in un micro appartamento di 30 metri quadrati all’ultimo piano di una palazzina a Monteverde Nuovo, una casa ricavata da un antico spazio condominiale (quando fu costruito l’edificio probabilmente c’era il locale delle vasche in comune o quello per i cassoni dell’acqua potabile).
Quando entrai a casa sua per la prima volta mi resi conto della sua battuta: dalla porta d’ingresso si era immediatamente a un passo dal terrazzo, la casa era piccolissima. Aveva un solo pregio: un grande terrazzo di 70 metri quadrati, quello un tempo condominiale. Mi spiegò: «Avevo pochi soldi. Potevo scegliere solo tra un semi interrato e questa casa, così alla fine comprai questo ‘castello’ perché c’era più aria. Certo c’è solo l’essenziale».
Ora Franco Carrera non può più fare battute. Mi ha chiamato Raffaele Genah, un caro amico comune, e mi ha annunciato: «Hai saputo? Franco è morto!». Per me e mia moglie Laura è stata una terribile mazzata, era uno dei nostri più cari amici. Non sapevamo nulla: Franco è morto nel suo Abruzzo a 70 anni. Leggendo un bel pezzo pubblicato dal Messaggero, il suo vecchio ed amato giornale, ho saputo qualche particolare in più. Io non vedevo Franco da quasi due anni. Gli avevo parlato per l’ultima volta al telefonino circa sei mesi fa. Dopo molte telefonate andate a vuoto, mi aveva alla fine risposto: «Non sto bene. Non so come finirà, devo farmi forza per andare avanti». Da diversi anni non stava bene, era confuso. Mi diceva: «Mi sto facendo curare, ho la malattia di papa Giovanni Paolo II». Doveva essere l’Alzheimer, progressivamente perdeva lucidità. Quando lo vedevo lo confortavo: «Ce la farai, guarirai. Ne hai viste tante!». Contavo di andarlo a trovare, assieme a un altro amico, a Palombaro, nel suo paese nativo in Abruzzo nel quale si era rifugiato, ma per una serie di motivi il viaggio purtroppo non è andato in porto. È morto domenica 19 agosto e ieri si sono svolti i funerali.
Conobbi Franco Carrera nel lontano 1975-1976, all’Avanti!, nella mitica redazione di vicolo della Guardiola a Roma, a un passo da Montecitorio. Simpatizzammo subito. Io e Franco eravamo due ragazzi socialisti che collaboravano al quotidiano: in tutto eravamo una decina; lui scriveva per la cronaca, io per il servizio sindacale-economico. Tutti e due volevamo fortissimamente fare i giornalisti: era difficilissimo entrare in un giornale e da anni stavamo facendo una faticosa gavetta da volontari, senza retribuzione.
Poi le nostre vite si separarono: lui tentò con Il Messaggero e alla fine fu assunto (prima in cronaca di Roma e poi nel servizio cultura e spettacoli); io ottenni un contratto da praticante all’Avanti!, poi passai al Giorno e quindi alla Rai. Mi era simpatico quel ragazzo alto, ironico, gentile, preciso e amante del suo lavoro. Ci ritrovammo per caso circa 15 anni fa e abbiamo preso a frequentarci. Alle volte andavo a prenderlo alle 21,30 al Messaggero e andavamo a cena vicino al giornale. Alcune volte faceva appena una scappata perché svolgeva il turno di notte nella redazione cultura e spettacoli e doveva tornare al lavoro perché curava la “cucina”: cioè correggeva, titolava e impaginava gli articoli.
In questi casi il suo lavoro finiva dopo mezzanotte, con la ribattuta dell’ultima edizione del giornale. Era molto scrupoloso, meticoloso: verificava tutte le notizie e l’italiano alle volte claudicante degli articoli. Non sopportava l’approssimazione: «Ad ogni concetto corrisponde un nome, il vocabolario va rispettato!». Tra il serio e il faceto tuonava: «Ho studiato in un sano liceo di provincia!».
Rimase duramente colpito quando Il Messaggero dichiarò lo stato di crisi aziendale e lui venne messo in pensione anticipata assieme ad altri colleghi. Gli dava fastidio essere considerato “un esubero” e “un costo”.
Per anni progettammo di fare un giornale online assieme, libero da ogni vincolo. Due anni fa sono andato in pensione e ho potuto realizzare l’idea. Con il mio amico Felice Saulino abbiamo lanciato Sfoglia Roma, ma Franco non ha potuto partecipare perché stava male: «Non posso, non ce la faccio, auguri!». Era un uomo appassionato, generoso nel lavoro e nella vita. Ciao, ci mancherai Franco!