Le elezioni brasiliane del 7 ottobre prossimo avranno un grande assente: Inàcio Lula. Il tribunale gli ha appena impedito di presentarsi per un terzo mandato da presidente nelle file del PT, il Partito dei lavoratori, la formazione politica di sinistra che contribuì a fondare a febbraio del 1980, durante la dittatura militare.
Lula, che è in carcere dopo essere stato condannato per corruzione, non potrà partecipare nemmeno alla campagna elettorale a fianco di Fernando Haddad, l’ex sindaco di San Paolo schierato in fretta e furia dal “Partido dos trabalhadores” dopo l’ultimatum del Tribunale Supremo Elettorale, che l’11 settembre ha obbligato il PT a sostituire il suo candidato.
Ultimo atto di una durissima guerra con la magistratura che va avanti da aprile, cioè da quando l’ex presidente è finito nel carcere di Curitiba, in seguito a una condanna a 12 anni inflittagli in appello. L’accusa è quella di aver ricevuto tangenti per un milione di dollari dalla Petrobas (l’azienda energetica di Stato) e favori da parte di alcuni imprenditori privati (un appartamento al mare e la costruzione di un ranch).
Lula, che ha sempre respinto le accuse, ha subito presentato ricorso alla Corte Suprema per evitare la sospensione dei diritti politici prima dell’ultimo grado di giudizio. La sua richiesta è stata respinta, ma il PT lo ha schierato ugualmente alle presidenziali fissate per ottobre. Ne è nata una durissima battaglia legale contro “le sentenze politiche della magistratura” sostenuta da una serie di manifestazioni di piazza a favore dell’ex presidente. Fino all’ultimo “no” dei giudici del Tribunale elettorale che hanno votato quasi all’unanimità (6 a 1) costringendo il PT a cambiare cavallo.
Il risultato è che dopo più di 40 anni il Brasile vivrà la sua prima campagna elettorale senza Lula, che fu eletto in Parlamento nel 1986, a 41 anni, da leader dei metalmeccanici. E subito partecipò alla nuova Costituzione che nasceva per chiudere la tragedia della dittatura con l’inserimento di forti garanzie per i diritti dei lavoratori.
Presidente del Brasile nel 2002, Lula guadagnò presto la fiducia dei mercati, che lo avevano accolto con preoccupazione, superando gli obiettivi posti dal Fondo monetario internazionale. Fu rieletto nel 2006 e affrontò la crisi globale del 2008 con un vasto piano d’investimenti pubblici. Il Brasile conobbe un momento di sviluppo. Lula, ormai popolarissimo tra la gente, era diventato il presidente che aveva migliorato le condizioni di vita di milioni di proletari. Nel 2010 il terzo mandato
consecutivo non sarebbe stato il problema, ma era vietato dalla Costituzione. E così il leader del PT come presidente del Brasile scelse un suo ministro, l’economista Dilma Rousseff, poi destituita nel 2016 con l’accusa di aver manipolato il bilancio dello Stato per garantirsi la riconferma.
Si arriva così alle elezioni del 7 ottobre, le prime senza Lula. Con un gigantesco problema per il PT costretto a ripiegare su un candidato debole e poco conosciuto a livello nazionale come l’ex sindaco di San Paolo Haddad. I primi sondaggi lo danno sotto al 10 per cento. La verità è che, nonostante gli scandali e il carcere, Lula sembra ancora l’unico candidato in grado di far vincere la sinistra brasiliana. L’ultimo sondaggio sulle intenzioni di voto, pubblicato poco prima della rinuncia, gli assegnava il 35 per cento al primo turno. 13 punti sopra il candidato della destra, il generale in pensione Jair Bolsonaro.