Fayez al-Sarraj fa fatica a restare in sella in Libia. La conferenza sulla Libia in Sicilia, se non salterà, rischia a novembre la partecipazione di al-Sarraj azzoppato. Il premier del governo di accordo nazionale non controlla né il paese nord africano, né la Tripolitania, né perfino Tripoli, la sua capitale. Per un mese, dalla fine di agosto, la città è stata in preda al terrore e al caos dei mitra, degli attentati e dei cannoni. In un mese di scontri si sono contati più di cento morti e centinaia di feriti. Il primo settembre un colpo di mortaio ha perfino sfiorato l’ambasciata italiana a Tripoli cadendo su un albergo distante poco più di cento metri, l’Hotel Al Waddan. Il bilancio è stato di tre feriti. Per alcuni l’obiettivo della bomba era proprio la sede diplomatica italiana.
Al-Sarraj traballa, però per ora resta in piedi. Le forze leali verso il primo ministro sono riuscite a contenere le milizie ribelli. Lo scontro per il potere e per il petrolio in Libia sembra arrivato alla battaglia finale. I principali contendenti sono due. Da una parte c’è Sarraj, dall’altra c’è il generale Khalifa Haftar, comandante dell’Esercito nazionale libico, uomo forte del governo di Tobruk, ben saldo nella Cirenaica. Al-Sarraj è sostenuto dall’Onu, dalla Ue, dall’Italia e dagli Usa. Haftar conta sull’appoggio dell’Egitto, della Francia e della Russia. Ha un esercito ben addestrato, formato in prevalenza di soldati provenienti dai reparti militari di Muammar Gheddafi. Tutta la Libia dal 2011, da quando è caduto il rais Muammar Gheddafi, è in preda all’anarchia: spadroneggiano 150 diverse milizie, i terroristi dell’Isis ogni tanto mettono a segno un colpo sanguinoso dopo la cocente disfatta subita a Sirte, le organizzazioni criminali lucrano sul traffico di migranti africani verso l’Italia e sul contrabbando del petrolio.
L’anarchia e il caos dominano soprattutto nel Fezzan, l’ampia regione desertica nel sud della Libia, abitata dai Tuareg, dai Tebu dagli Awlad e dai Qadhadhfa. Le bande criminali fanno il bello e il cattivo tempo senza che una autorità nazionale sia in grado di contrastarle. Dal Niger, dal Ciad e dal Sudan arrivano migliaia di migranti africani: attraversano il confine con il sogno di andare in Europa e finiscono nelle mani dei trafficanti di esseri umani.
Italia e Francia si fronteggiano per affermare le rispettive leadership. Emmanuel Macron, che ha un rapporto stretto con Haftar (ad aprile il generale è andato a curarsi a Parigi in un clima di stretto riserbo), in una conferenza sulla Libia tenuta a maggio nella capitale francese, ha proposto di tenere il 10 dicembre le elezioni nel paese distrutto dalla guerra civile. Sarraj e Haftar erano presenti, tuttavia mancavano diversi rappresentanti delle milizie e delle municipalità: l’incontro di Parigi terminò senza la firma di un documento sulla pacificazione. Il presidente della Repubblica francese a fine settembre ha ripetuto all’Onu: «Solo» organizzando elezioni subito a Tripoli si «può accelerare la strada verso una soluzione duratura. Lo status quo fa guadagnare terreno solo ai trafficanti e ai terroristi».
Anche l’Italia è favorevole alle elezioni, ma non si può votare mentre si spara e senza l’accordo tra tutte le forze politiche libiche. La parola chiave della strategia italiana è “inclusione”. L’obiettivo di Giuseppe Conte è di organizzare una conferenza sulla Libia ai primi di novembre in Sicilia, probabilmente a Sciacca o a Taormina. Quando il presidente del Consiglio è andato alla assemblea dell’Onu a New York ha premuto su Donald Trump, per convincere il presidente degli Stati Uniti a partecipare alla conferenza di pace sulla Libia in Sicilia: «Voi sapete che novembre è un periodo delicato perché c’è il voto di Midterm. Vedremo se potrà venire in Sicilia, c’è la massima attenzione per la cabina di regia Italia-Usa per Mediterraneo e Libia». Il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, che tesse buoni rapporti anche con Haftar, ha spiegato perché la scelta dell’incontro internazionale sia caduta sulla Sicilia: è «una terra che vuole simboleggiare la mano tesa al di là del Mediterraneo».
La conferenza sulla Libia in Sicilia sembra camminare in salita. Al-Sarraj è prudente. Al Corriere della Sera ha annunciato il suo disco verde, ma vanno superati molti ostacoli: la riunione «va pensata bene: inutile incontrarsi senza risultati, sarebbe controproducente. E occorre che la comunità internazionale si organizzi. Francia e Italia devono risolvere le loro dispute bilaterali riguardo alla Libia. Qui la situazione è già gravissima, inutile gettare altra benzina sul fuoco».
Haftar, travolto a giugno “l’ultimo bastione dei terroristi” a Derna, controlla la Cirenaica e ambisce a impadronirsi di tutta la Libia: «Il nostro esercito nazionale libererà Tripoli dalle milizie al momento opportuno». Ha ammonito: «L’85% dei libici è con me. Io credo nel voto, sono pronto a sostenere le elezioni, così come formulate all’ultima conferenza di Parigi. Ma se non saranno libere e trasparenti, allora l’esercito interverrà a bloccarle».