Il boom dell’economia? «Di chi pensate sia il merito?». Alla domanda lanciata da Barack Obama alla vigilia delle elezioni del 6 novembre la platea dei militanti democratici ha risposto con una valanga di applausi, urla, cori di consenso. Quasi è venuta giù la sala per l’entusiasmo incontenibile quando l’ex presidente degli Stati Uniti d’America ha parlato a Chicago polemizzando con i repubblicani e il suo successore Donald Trump.
Obama ha portato fortuna ai democratici: hanno conquistato la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti mentre i repubblicani hanno mantenuto e rafforzato il controllo del Senato. Le cosiddette elezioni di medio termine, a metà del mandato del presidente, sono una battuta d’arresto per Trump e i repubblicani, il suo partito. Wall Street e le Borse mondiali hanno brindato ai risultati elettorali con vistosi rialzi perché è garantita la stabilità politica e il bilanciamento dei poteri negli Usa.
Il presidente repubblicano si è detto soddisfatto su Twitter: «Formidabile successo, grazie a tutti». In realtà si è trattato di un referendum su Trump, il presidente populista e sovranista, nemico dell’establishment, alfiere dei dazi per combattere la concorrenza di paesi avversari (la Cina) ed amici (Unione europea, Giappone, Corea del sud), avversario degli immigrati ispanici e musulmani, critico con l’Onu, teorico della politica muscolare sulla sicurezza esterna ed interna degli Usa, allergico al multilateralismo da sostituire con rapporti bilaterali con nazioni grandi e piccole, sostenitore del forte taglio delle tasse soprattutto agli alti redditi.
Barack Obama, una visione opposta a quella di Trump, a lungo quasi non si è fatto più sentire dopo aver lasciato la Casa Bianca nel gennaio 2017. Poi si è impegnato nella campagna per le elezioni di medio termine. Un caso o un segnale? Ancora non è chiaro. Di sicuro il Partito democratico non è riuscito finora a contrapporre a Trump un leader credibile. I democratici sono ancora scioccati, non si sono ripresi dal trauma subito quando l’imprenditore miliardario a sorpresa vinse le elezioni per la presidenza alla fine del 2016, sconfiggendo Hillary Clinton favorita dai pronostici.
Obama, 57 anni, nel pieno delle forze, con i capelli un po’ più grigi, ha parlato con un volto tirato e in maniche di camicia a Chicago suscitando la passione e l’entusiasmo della base, come si vede in un video girato dall’agenzia Vista Tv. Ha rivendicato tutte le scelte di solidarietà sociale, in testa la riforma della sanità pubblica per oltre 20 milioni di persone, chiave del successo dei democratici. Ha rivendicato il rilancio dell’economia americana (un massiccio piano d’investimenti pubblici contro la crisi scoppiata nel 2008). Ha rivendicato le riforme varate nei suoi otto anni alla Casa Bianca. Quando fu eletto presidente dieci anni fa si trovò davanti la più grave recessione economica americana dalla Grande depressione del 1929: le fabbriche chiudevano e la disoccupazione dilagava, «ho dovuto prendere la scopa e ripulire il casino» lasciato dall’amministrazione repubblicana precedente e a prezzo di grandi sforzi «abbiamo ricominciato a crescere».
Analogo discorso ha svolto qualche giorno prima a Miami. Ha attaccato Trump: «Mente e si inventa le cose». Ha bocciato la sua politica della mano dura contro gli immigrati: «Non ha compassione, questa non è l’America». Il primo presidente afro-americano, il quarantaquattresimo nella storia degli Stati Uniti contrappone la solidarietà all’egoismo sociale, la tolleranza al razzismo, lo sviluppo economico rispettoso dell’ambiente allo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali, il dialogo internazionale allo scontro. Sono riecheggiati gli slogan dei suoi due mandati di presidente: «Il cambiamento può ancora avvenire, la speranza non è ancora morta». È riapparso il suo slogan: «Yes, we can», si può fare.
L’avvocato di colore, difensore dei diritti civili, non si è ritirato a vita privata, è ancora in campo. In caso di necessità il mondo progressista può ancora fare conto su di lui. Obama non è nuovo alle imprese impossibili: prima fu eletto a sorpresa senatore dell’Illinois, poi presidente degli Stati Uniti. Tra due anni, nel 2020, si tornerà a votare per la Casa Bianca e già si parla di tanti possibili candidati democratici da opporre a Trump. La Costituzione americana, con una modifica del 1951, vieta un terzo mandato presidenziale per evitare una concentrazione troppo forte di potere. Ma potrebbe essere introdotta anche la possibilità di un incarico ter sia pure non consecutivo. Nel 2011 Bill Clinton, già presidente democratico con due mandati sulle spalle, tanto amato quanto discusso, lanciò la proposta: «Ho sempre pensato che questa dovrebbe essere la regola». Tuttavia l’idea restò lettera morta.