Offese, ingiurie, invettive. Tempi cupi per l’informazione. I populisti hanno un bruttissimo rapporto con la stampa, guardano con fastidio i giornalisti. Il M5S, da quando era all’opposizione, ha avuto un pessimo rapporto con i giornali e la situazione non è di molto cambiata da quando il movimento fondato da Beppe Grillo è andato al governo.
Luigi Di Maio ha sentenziato su Facebook: la stragrande maggioranza dei giornalisti «sono solo degli infimi sciacalli». Il capo politico dei cinquestelle, vice presidente del Consiglio, ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico se l’è presa con i giornalisti come se l’assoluzione del 10 novembre di Virginia Raggi, per falso ideologico in atto pubblico da parte del tribunale di Roma, fosse una condanna dell’informazione.
Di Maio, giornalista pubblicista, non è un caso isolato: tra i populisti grillini c’è il tiro a segno contro i cronisti. Alessandro Di Battista, impegnato in una vacanza con la famiglia di sei mesi negli Stati Uniti e in America Latina, è intervenuto anche sulla vicenda della sindaca di Roma. Sempre su Facebook ha rincarato con mano pesantissima: «Le uniche puttane» sono i giornalisti, «sono pennivendoli». L’ex deputato grillino, punto di riferimento dell’ala movimentista pentastellata, non è uno qualunque: è considerato il numero due del M5S, un possibile candidato a succedere a Di Maio nell’incarico di capo politico.
Di sicuro gli attacchi e le offese ai giornalisti non offuscano il grande scontento dei romani per il degrado nel quale sprofonda la capitale: dagli autobus quasi sempre in ritardo cronico (è fallito per mancato quorum il referendum consultivo dell’11 novembre sulla messa a gara del trasporto pubblico) ai cassonetti stracolmi di rifiuti maleodoranti, dalla paralizzante burocrazia capitolina alle grandi aziende in fuga verso Milano.
Non funziona così. Un articolo o una critica possono piacere o non piacere ma vanno rispettati. Un pezzo si può criticare, si può contestare se contiene errori o notizie sballate. Ma gli insulti sono inaccettabili soprattutto se arrivano dall’interno del governo, perché così si ferisce uno dei beni più importanti di una democrazia: la libertà di stampa. Certo i giornali non sono perfetti. Se negli ultimi dieci anni hanno dimezzato le copie vendute ci sono tante ragioni, compresi i difetti della caduta della qualità, della concentrazione e centralizzazione dell’informazione.
I giornalisti, comunque, sono sempre stati tra i bersagli preferiti di Grillo. Basta un nulla a far scattare la sua ira. Lo scorso anno, quando il Movimento 5 Stelle era ancora all’opposizione, non prese bene l’assalto dei cronisti davanti all’Hotel Forum a Roma: «Questo è sequestro di persona, vi mangerei tutti per il gusto di rivomitarvi». Insulti pesantissimi conditi con l’ironia graffiante del grande comico.
In genere i leader populisti guardano con ostilità ai giornalisti. Donald Trump si cimenta perfino in combattimenti corpo a corpo con singoli reporter. Nella conferenza stampa dopo le elezioni di medio termine negli Stati Uniti del 6 novembre, ha picchiato duro contro Jim Acosta: «Tu sei un maleducato, un nemico del popolo». Al presidente americano non era per niente piaciuta una domanda del cronista della Cnn sulla carovana dei migranti ispanici in Marcia verso gli Usa. Poi è arrivata la mannaia: la Casa Bianca ha sospeso l’accredito stampa al corrispondente della Cnn.
Subito dopo, prima di partire per il viaggio in Europa, ha avuto un altro scontro con Abby Phillip: «Ma che domanda stupida. Ti guardo spesso, fai un sacco di domande stupide!». La giornalista afroamericana della Cnn aveva chiesto al presidente se volesse fermare le indagini del procuratore Robert Muller sul Russiagate.
Trump ha minacciato di togliere le credenziali anche ad altri corrispondenti presso la Casa Bianca: «Quelli che non mostrano rispetto verso il presidente». Insomma, a quei giornalisti «nemici del popolo» in quanto critici verso il presidente degli Stati Uniti eletto dal popolo. Ma l’eletto dal popolo può comportarsi bene o male, può sbagliare e infrangere la legge per motivi personali o politici. La stampa deve fare il suo lavoro, il suo dovere: informare e, secondo i casi, apprezzare o criticare senza avere riguardi per i potenti, anche se eletti dal popolo.
Negli Stati Uniti d’America la libertà di stampa ha una grande tradizione. Nel 1972 l’inchiesta di Bob Woodard e Carl Bernstein, due reporter del Washington Post, fece scoppiare lo scandalo del Watergate su alcune intercettazioni illegali effettuate ai danni del Partito Democratico da parte di alcuni uomini del Partito Repubblicano. Gli articoli dei due giornalisti portarono alla messa in stato di accusa e alle dimissioni del presidente Richard Nixon. Humphrey Bogart diceva: «È la stampa, bellezza». Se l’intento dei populisti è di intimidire i giornalisti, fallirà.