Una volta a Roma il degrado era nascosto, confinato nelle periferie, nei vecchi capannoni industriali dismessi e mai più utilizzati, nelle borgate descritte da Pasolini, nei nuovi e vecchi quartieri dormitorio, isole abbandonate dove non arrivavano neanche i mezzi pubblici. Oggi il degrado è un po’ ovunque e non risparmia nessuno. Centro storico, Prati, Parioli, i quartieri dell’élite della Capitale non fanno eccezione, buche che ormai sono voragini, autobus flambé, cumuli di spazzatura, tombini intasati che al primo temporale sembra di essere a Venezia.
Il degrado è democratico non risparmia nessuno. Un degrado che allontana i turisti, al punto che per il secondo anno consecutivo è Milano la città più visitata d’Italia, un degrado al quale i romani sopravvivono solo grazie all’innato spirito umoristico e all’autoironia. È però risaputo che il degrado genera anche un sottobosco di malavita: dove c’è abbandono, c’è anche illegalità, droga, violenza. Il caso di Desirè morta nello stabile di San Lorenzo è la conseguenza tragica di una situazione che molti conoscevano e avevano denunciato.
Quel luogo, come altri luoghi reperti archeologici di una Roma industriale che non c’è più, andrebbero ripuliti, rivalorizzati, adibiti a nuovi scopi e usi. È quello che si tentò di fare negli anni novanta con la Giunta Rutelli con un piano ambizioso che prevedeva la rigenerazione di tre quartieri: Ostiense Marconi, Flaminio e San Lorenzo.
L’idea era quella già avviata con successo in altre città europee a partire dell’ex stazione di Parigi, trasformata nel Museo d’Orsay alla fine degli anni settanta, o dalla riqualificazione dell’area attorno alla vecchia stazione ferroviaria di King’s Cross a Londra dove i vecchi gasometri sono stati recuperati come unità residenziali. A Roma dei tre progetti urbani ne è stato realizzato solo uno quello di Ostiense, il secondo al Flaminio ha visto solo la realizzazione dell’Auditorium e del museo del MaXXI, sul terzo non si è mai cominciato.
Eppure le idee non mancano e neanche i progetti. Se ne è parlato nei giorni scorsi nell’affollatissima aula Magna della Facoltà di Architettura dell’Università Roma 3, in occasione della presentazione del libro di Umberto Marroni La rigenerazione dei quartieri industriali.
Un poderoso volume, edito da Ponte Sisto che raccoglie in 48 schede, corredate da suggestive fotografie, una serie di progetti già realizzati o in corso di realizzazione per fare di questi luoghi dell’archeologia industriale un nuovo polo culturale della città. La stessa Università Roma 3, nata da un’intuizione dell’allora Ministro Ruberti, è il vivo esempio di come luoghi adibiti ad altri usi siano stati “riciclati” con successo.
Dall’ex Mattatoio, che oltre a ospitare l’Università, è sede dello spazio espositivo della Pelanda e dello spazio museale dell’ex Macro Testaccio, al recupero dell’ex stabilimento di produzione della Mira Lanza sulla riva destra del Tevere all’altezza di Viale Marconi dove è nato il Teatro India, passando per la vecchia stazione Ostiense trasformatasi, grazie a Oscar Farinetti, da monumento al degrado e all’inefficienza a esempio della qualità italiana nel settore della distribuzione e dell’alimentazione, per finire con gli edifici degli ex Mercati Generali sui quali c’è già un progetto, finanziato da privati, per farne un luogo di cultura e di intrattenimento.
Ma i luoghi da recuperare sarebbero tanti e tanti altri: basti pensare all’ex Fiera di Roma, all’ospedale San Giacomo nel cuore del centro, all’ex deposito dell’Atac a Tuscolano. E da qui il progetto Reinventing Cities, un bando internazionale per stimolare sviluppi innovativi a zero emissioni di carbonio e per trasformare siti sotto utilizzati in baluardi di sostenibilità. Le idee non mancano anche se vista la totale inazione della giunta pentastellata, molto probabilmente bisognerà attendere il prossimo sindaco.