CGIL, CISL e UIL unitariamente stanno chiedendo al governo con forza che lo sviluppo del Paese sia supportato da politiche espansive, sia supportato da investimenti. Lo stanno chiedendo con una mobilitazione che però deve arrivare in tutti i posti di lavoro e nei quartieri della città. Una mobilitazione di lavoratori e pensionati. È questa una sollecitazione al governo per una ricomposizione ed un rilancio di politiche pubbliche finalizzate allo sviluppo sostenibile ed al lavoro.
Il sindacato sospinge il governo a porre al centro delle pubbliche scelte, quella del rilancio e dello sviluppo del Servizio Sanitario nazionale, un volano di occupazione che riguarda anche un vastissimo indotto. Lo chiedono ponendo al centro il lavoro pubblico di qualità, a tempo indeterminato, uno per tutti quello nella sanità come nei servizi sociali previsti dalla legge 328/2000.
Contro ogni logica chiusa, localistica CGIL, CISL e UIL chiedono scelte pubbliche che avviino processi redistributivi, solidaristici fra le regioni attraverso investimenti in infrastrutture materiali e sociali. Serve innovazione ma al servizio di una coesione sociale, che viene meno se l’attuazione dell’art.116 terzo comma della Costituzione viene gestita, quanto all’uso delle risorse fiscali, con egoismo localistico, come nelle intenzioni del Veneto.
Il contrasto alla povertà è un primario obiettivo della mobilitazione unitaria nazionale che a Roma ha visto convergere lavoratori e pensionati al cinema Atlantic, nel popolare quartiere di Cinecittà.
La Povertà è una priorità del sindacato e per il Paese. Ci saranno sempre poveri da tutelare con provvedimenti simili al Rei e ci saranno sempre, giovani e meno giovani, disoccupati da supportare nel difficile avvio nel mondo del lavoro.
Lo strumento che il governo afferma di voler assumere non sarà in grado coprire, al contempo, insieme, le due esigenze. E pertanto, così com’è, è uno strumento inidoneo.
La povertà in ogni caso non si combatte se non c’è lavoro. Quest’ultimo non si crea, certo, se non si creano funzionanti uffici per l’impiego ma anche, soprattutto, se non si rafforzano le grandi reti pubbliche del Paese a partire dalla sanità e dai servizi sociali. Per contrastare la povertà occorre mettere in campo un sistema complesso che preveda strumenti di natura economica e il rafforzamento delle reti sociali a partire dalla sanità.
Per le politiche sociali serve: incrementare le risorse per le politiche socio assistenziali, definire i livelli essenziali delle prestazioni sociali come diritti soggettivi esigibili e approvare la legge quadro sulla non autosufficienza.
Per investire risorse in sviluppo e occupazione c’è un ruolo attivo insostituibile e non delegabile del sistema pubblico che il governo a parole conclama, ma che resta un flatus vocis se non si colpisce evasione e elusione fiscale (e, intanto, osservo, latita la riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori e per i pensionati).
Il governo sul tema è poco loquace in omaggio ad una parte del proprio elettorato che dell’evasione e dell’elusione fa un fondamento delle proprie strategie aziendali.
Il “governo del cambiamento” sul punto non mostra di voler cambiare. I sindacati unitariamente stanno avanzando la richiesta di una maggiore progressività delle imposte, interventi sui patrimoni dei più ricchi e una azione programmata di deciso contrasto all’evasione.
Un modello di sviluppo del Paese, quello che il sindacato rivendica, diverso, non sotto la spada di Damocle delle politiche di austerità e che sia rifondato sulla sostenibilità sociale e ambientale, sulla solidarietà nazionale, che veda progressività fiscale, redistribuzione fra classi sociali e ambiti territoriali, responsabilità e ruolo nazionale delle autonomie locali.
Governo e Regioni hanno avviato una procedura costituzionale dagli esiti incerti che potrebbe compromettere questa impostazione, di cui si dibatte poco fra i lavoratori e che va sotto il nome di regionalismo differenziato. La cosa riguarda tra le altre la sanità che rappresenta tantissima parte della spesa corrente delle Regioni.
La sanità non è soltanto servizi ma anche un comparto che può dare nuova qualificata occupazione, un comparto che produce salute e sul quale investire che è non solo necessario ma anche vantaggioso per lo sviluppo del paese.
L’esigibilità delle prestazioni sanitarie da anni, nei fatti, non viene pienamente garantita. Le diseguaglianze nell’accesso ai servizi sanitari non sono più accettabili. L’accesso ai servizi sanitari pubblici e a quelli privati accreditati (che costituiscono il sistema sanitario nazionale) non avviene, quando è necessario, per criticità organizzative irrisolte e perché la mancanza di reddito non permette, ormai, a milioni di persone neanche di rivolgersi alle strutture private verso le quali sono sospinte a causa dei tempi inaccettabili delle liste di attesa.
Oggi si può morire di Servizio Sanitario inefficace. Tutto questo non può più essere accettato. La legge di Bilancio non tiene conto che dal 2012 vi è stato un costante definanziamento della sanità malgrado le intese prese nella conferenza Stato-Regioni.
Va invece aumentato in modo progressivo il finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale per riallinearlo, gradualmente, a quello dei paesi dell’Europa occidentale la cui spesa pro capite per la sanità è il doppio di quella italiana. Va definito un piano programmato straordinario di assunzioni a tempo indeterminato nel SSN per garantire il diritto alla cura, (alla prevenzione e alla riabilitazione), ed anche per rendere più certa la garanzia di un accesso tempestivo, equo e appropriato alle prestazioni sanitarie in tutte le Regioni.
La copertura della spesa corrente sanitaria va garantita, ma servono anche risorse da investire nel comparto sanità, attraverso un piano nazionale di finanziamento per la messa in sicurezza e l’ammodernamento delle strutture e la riorganizzazione della rete dei servizi socio sanitari. Il diritto alla salute di tutti i cittadini è il più grande risultato raggiunto negli ultimi 40 anni a seguito delle lotte del movimento sindacale, un risultato voluto dalla pressochè totale volontà del Parlamento italiano.
CGIL, CISL e UIL hanno la responsabilità storica di ritornare ad essere unitariamente il promotore di una iniziativa collettiva più ampia che, in primo luogo, impegni tutte le proprie organizzazioni e tutti i suoi iscritti a concretizzare una inversione della attuale tendenza senza freni alla trasformazione del SSN in un Sistema nel quale alla componente privata si vuole far assumere il ruolo di pilastro primario dell’offerta di servizi sanitari.
Viene avanti e si sta allargando una considerazione critica sulla contrattazione integrativa aziendale. La stagione dello scambio del salario contrattuale con welfare aziendale nei grandi gruppi e nelle aziende sul territorio viene sempre più vista come una pratica che, insieme ad alcuni effetti positivi per alcune fasce di lavoratori, ha però comportato l’allentamento della tensione a difesa del SSN universale pubblico che è di tutti i cittadini. E questo è un danno per tutti rispetto ai vantaggi per alcuni.
Sembra arrivato il momento perché i sindacati tirino le somme sugli effetti delle dinamiche della contrattazione integrativa aziendale rispetto alla salvaguardia del principio di esigibilità del diritto alla salute. Di certo oggi è più forte la convinzione che va fermata una deriva silenziosa verso la dequalificazione del SSN e la privatizzazione di fatto della sanità pubblica.