Anni fa “la casta”, adesso “il partito del Pil”. È una fucina di slogan Il Corriere della Sera. Con “la casta” il Corsera indicò al pubblico ludibrio e diede una spallata ai partiti italiani dipinti come autoreferenziali, inefficienti e corrotti. Anche sbandierando l’attacco alla “casta”, termine usato in India per indicare la classe sociale dominante e privilegiata, scoppiò in Italia la rivolta popolare alimentata dalla crisi economica e dalla corruzione pubblica. Su questa linea, via via, si è arrivati alla cosiddetta Terza Repubblica: alla trionfale vittoria dei partiti populisti, M5S e Lega, nelle elezioni politiche del 4 marzo.
Ora è la volta della campagna sul “partito del Pil”. Il giornale di via Solferino a Milano, storicamente espressione della grande borghesia italiana, ha usato per la prima volta questa definizione lo scorso giugno in un articolo di Dario Di Vico per indicare le critiche degli imprenditori italiani contro “il governo del cambiamento”, il primo esecutivo populista dell’Europa occidentale. Poi il maggiore giornale italiano ne ha fatto un cavallo di battaglia e alla fine anche gli altri quotidiani del Belpaese, compreso il manifesto, hanno pubblicato pezzi sul “partito del Pil”.
Progressivamente sono cresciute d’intensità le accuse contro il ministero composto dai cinquestelle e dai leghisti per le scelte assistenzialiste e anti produttive. La pioggia di cattive notizie degli ultimi sei mesi sul fronte economico ha alimentato lo scontento e la paura. Il calo dell’occupazione, dei consumi, della produzione industriale e del reddito nazionale (il Pil) e il parallelo aumento dello spread fino a quasi 340 punti hanno fatto temere una nuova recessione: sarebbe addirittura la terza in appena dieci anni. È circolata perfino l’ipotesi di un’imposta patrimoniale, più volte smentita dal governo.
Così adesso c’è la rivolta del “partito del Pil”, del partito della crescita economica contro quello della “decrescita felice” (era un motto dei grillini). Gli imprenditori italiani lunedì 3 dicembre hanno fatto sentire la loro protesta a Torino. Per la prima volta ben 12 associazioni imprenditoriali (industria, commercio, servizi, grandi e piccole aziende) hanno fatto sentire la loro voce dall’ex Officina grandi riparazioni per i treni di tutto il mondo. Il presidente della Confindustria Vincenzo Boccia ha avvertito: «In questa sala è rappresentato il 65% del Pil nostrano». Ha usato toni rudi contro i ministri Salvini e Di Maio, poco sensibili al pericolo della salita dello spread: «Noi siamo quelli che non se ne fregano dello spread». Ha insistito sulla crescita economica, ha sollecitato il governo M5S-Lega a trovare in tempi rapidissimi un accordo con Bruxelles per evitare le sanzioni innescate dalla violazione delle regole sull’euro per deficit-debito pubblico eccessivo.
Il rischio è forte per Luigi Di Maio e, soprattutto, per Matteo Salvini che potrebbe perdere i tanti voti e consensi raccolti tra gli imprenditori. Il 13 dicembre la protesta proseguirà a Milano: vedrà protagoniste le aziende del nord Italia, il cuore del bacino elettorale leghista. L’obiettivo è sempre quello di modificare la legge di Bilancio del governo all’esame della Camera e di evitare la guerra con Bruxelles (da fine settembre si è aperto un durissimo braccio di ferro sulle scelte economiche).
Conte è fiducioso su una intesa con la Ue, in «una soluzione condivisa che possa evitare l’infrazione» del Patto di stabilità per l’euro. Il deficit della manovra 2019 è fissato dal governo al 2,4% del Pil e Bruxelles chiede una riduzione attorno al 2%, tagliando le spese per il reddito di cittadinanza e per rivedere la legge Fornero sulle pensioni (due provvedimenti centrali nelle promesse del M5S e del Carroccio). Il deficit scenderà sotto il 2%? Il presidente del Consiglio si è limitato a rispondere: «Non sto lavorando a questo obiettivo». È fiducioso su un compromesso anche il commissario europeo per gli Affari monetari Pierre Moscovici: c’è «un passo nella giusta direzione» da parte del governo Italiano ma le distanze restano.
Ci sono degli spiragli, il clima non è più di scontro, tuttavia la mediazione è difficile. “Il partito del Pil” lanciato dal Corsera, comunque, è diventato una posizione forte sul piano politico e culturale. Il presidente del Consiglio socialista Bettino Craxi negli anni Ottanta diceva: «Se vuoi sapere cosa pensa la borghesia italiana leggi Il Corriere della Sera».
È apparso alla finestra “il partito del Pil”. Però Vincenzo Boccia, almeno per ora, nega ogni implicazione politica: «Il partito del Pil non esiste, partiti noi non ne facciamo, già ce ne sono troppi e non ci mettiamo anche noi».