L’Italia si è salvata per un soffio dalla bocciatura di Bruxelles. Il reddito di cittadinanza e la cosiddetta “quota 100” (62 anni di età e 38 di contributi per andare in pensione anticipata), arriveranno alla meta ma ammaccati. La commissione europea “per ora” dà il disco verde alla manovra economica italiana rivista. A gennaio Bruxelles, però, effettuerà una verifica sui conti e deciderà se accantonare definitivamente la procedura d’infrazione per deficit-debito pubblico eccessivo alle regole sull’euro.
Il miracolo si chiama “rimodulazione” della legge di Bilancio 2019, come ha definito il ridimensionamento con toni flautati Giuseppe Conte. Più brutalmente: l’Italia ha obbedito alle perentorie indicazioni della commissione europea di cambiare la manovra. Il presidente del Consiglio è riuscito nell’impresa che sembrava impossibile: ha fatto accettare a Matteo Salvini e a Luigi Di Maio, dopo i tanti e bellicosi no alla Ue, il taglio del deficit dal 2,4% al 2,04% del Pil (oltre 10 miliardi di euro in meno di disavanzo). A quel punto si è spianata la strada all’accordo con il presidente della commissione europea Jean-Claude Juncker per evitare all’Italia la procedura d’infrazione. I due potenti soci azionisti del “governo del cambiamento” hanno accettato perfino la riduzione dei fondi (circa 4 miliardi di euro) destinati al reddito di cittadinanza e a “quota 100”, le due promesse fondamentali del M5S e della Lega ai loro elettori.
Paletti e delimitazioni peseranno sui due provvedimenti cardine della manovra. Salvini e Di Maio alla fine hanno messo da parte le sparate e i toni gladiatori contro la commissione europea e hanno fatto i conti con la realtà. Hanno annunciato “piena fiducia” a Conte nella difficile trattativa con Bruxelles, che ha corso il rischio di far schiantare l’Italia contro un muro. Il governo populista dei sovranisti, messo alle strette, ha consentito alla riscrittura della legge di Bilancio con il concorso della Ue. L’impennata dello spread, il crollo della Borsa di Milano, la salita dei tassi d’interesse, il calo del reddito nazionale li hanno spaventati. Il segretario della Lega e il capo politico del Movimento 5 stelle hanno operato una complicata e diplomatica retromarcia. Hanno accettato le regole per l’euro sfoderando la rassicurante motivazione: «Nessun tradimento degli italiani».
Conte ha formalizzato la svolta parlando al Senato il 19 dicembre, lo stesso giorno nel quale la commissione europea ufficializzava il sì alle modifiche decise dall’esecutivo giallo-verde. I mercati finanziari hanno brindato. Lo stesso giorno la Borsa di Milano è salita dell’1,59% e lo spread è sceso a 254 punti. Il presidente del Consiglio ha cercato di rassicurare la maggioranza pentastellata: il deficit scenderà dal 2,4% al 2,04% «senza modificare né i contenuti, né la platea, né i tempi di realizzazione» del reddito di cittadinanza e di “quota 100”.
Il governo grillo-leghista a Palazzo Madama ha cambiato la manovra economica a tempo di record: sabato 22 dicembre ha presentato direttamente nell’aula del Senato un maxi-emendamento passato poi nella notte con il voto di fiducia. È scoppiato il caos. Urla, grida, risse. Le opposizioni hanno protestato per l’esautoramento del Parlamento che non ha potuto discutere né votare 700 emendamenti. Il Pd ha annunciato il ricorso alla Corte Costituzionale. Emma Bonino e Giorgio Napolitano hanno lamentato una ferita alla democrazia. La Camera, sempre con il voto di fiducia, si dovrebbe esprimere il 29 dicembre sui cambiamenti approvati dal Senato.
È un’affannosa corsa contro il tempo per varare la legge sulla finanza pubblica entro dicembre, il limite massimo per non incorrere nell’esercizio provvisorio che blocca entrate ed uscite al livello dell’anno precedente. È tuttavia una corsa contro il tempo rallentata dai tanti contrasti interni tra leghisti e cinquestelle: ai primi non piace il reddito di cittadinanza ai secondi sì, i primi sostengono il condono fiscale mentre gli alleati lo avversano, i pentastellati hanno voluto l’ecotassa sulle auto mentre i colleghi di maggioranza l’hanno ridimensionata.
A maggio si voterà per le elezioni europee e il governo Conte-Di Maio-Salvini ci arriverà sfibrato. Più di una volta si è arrivati a un passo dalla rottura, come quando il ministro dell’Interno ha proposto la costruzione dei termovalorizzatori per risolvere il problema dei rifiuti (in particolare in Campania) e il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico ha replicato con un secco no. Alta tensione c’è stata anche sul decreto legge sicurezza (diversi parlamentari cinquestelle non hanno votato il provvedimento caro a Salvini).
Nella campagna elettorale per le europee il segretario della Lega e il capo del M5S potranno alzare le bandiere del reddito di cittadinanza e di “quota 100”, tuttavia saranno dei vessilli un po’ sgualciti e lacerati: contati i voti nei seggi poi si vedrà.