Lo guardo meravigliato, lui nemmeno mi fa parlare: «Sì, ho cambiato lavoro. Adesso faccio il rider». La crisi economica colpisce ancora forte. Il mio vicino di casa prima lavorava in una libreria, poi ha perso il lavoro e adesso fa il rider. Fa il fattorino, consegna a domicilio pranzi e cene con il suo motorino. Guarda un po’ sconsolato il grande cubo colorato che ha in mano: «È il mio zaino termico nel quale sono riposti i cibi che consegno. Lavoro all’ora di pranzo e all’ora di cena. Ritiro i cibi e li consegno ai clienti a domicilio». Ha lavorato anche il giorno di Capodanno.
Il cambiamento pesa, soprattutto perché ha 40 anni suonati, una moglie e due figli piccoli. Parla con una voce triste, ma la mette in positivo: «Per me è un lavoro del tutto nuovo. Ricevo gli ordini tramite una app collocata sul telefonino. Vado a prendere i cibi nei ristoranti e li porto a casa dei clienti. Guadagno poco, ma lavoro! Sono abituato a cambiare. Ho fatto tanti lavori nella mia vita!».
In Italia il mercato delle consegne dei pranzi a domicilio via Internet è in grande espansione: fattura circa 800 milioni di euro e ha tassi di fortissima crescita, al ritmo del 20%-30% l’anno. In Italia, come in tutta Europa, è scoppiata la comoda consuetudine di consumare direttamente a casa i pasti cucinati nei ristoranti. La novità fa piacere ai ristoratori che, così, ampliano la clientela e risparmiano sui camerieri e fa piacere alle multinazionali delle consegne via Internet. I cambiamenti sono continui. Glovo, Deliveroo, Uber Eats, JustEat e Foodora sono le multinazionali tedesche, inglesi e spagnole che hanno colto al volo questo trend: battagliano per controllare il mercato. Foodora ha deciso di lasciare l’Italia e di vendere le sue attività a Glovo (questa azienda assicura consegne anche a supermecati, farmacie, vari tipi di negozi, oltre che ai ristoranti). I circa 2 mila fattorini di Foodora, per metà ragazzi, vedono peggiorare ulteriormente il loro precariato: dai contratti di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co) con un minimo salariale alle collaborazioni occasionali (sempre che Glovo li prenda).
In Italia i rider sono circa 50 mila: consegnano pizze, spaghetti all’amatriciana, kebab, sushi, cibi vegani. Sono soggetti a un fortissimo turn-over. Tanti ragazzi nell’estate lavorano nei villaggi vacanze e nel turismo, in inverno diventano rider. Lavorano nelle principali città italiane. In genere si tratta di studenti ventenni, ma sono molti anche i quarantenni e cinquantenni disperati rimasti disoccupati per la crisi economica. Viaggiano su biciclette, motorini ed auto di loro proprietà per effettuare le consegne. Hanno sulle spalle dei grandi zaini termici di tanti sgargianti colori diversi: rossi, gialli, arancione, azzurri. Più vanno veloce, più guadagnano. Una inserzione su Internet della Glovo dice: «Cerchiamo fattorini. Guadagni fino a 10 euro l’ora». Si parte da 1,9 euro a consegna. Il guadagno può variare: 4, 7, 10 euro l’ora.
Alle volte c’è un minimo garantito di poco più di 3 euro l’ora, ma prevalentemente i compensi sono a consegna, è una retribuzione a cottimo. Sono i nuovi proletari senza tutele. Una sentenza del Tribunale del lavoro di Torino, in una causa tra sei rider e Foodora, ha confermato che quello dei fattorini è un rapporto di lavoro autonomo nonostante sussistano degli elementi di un contratto di lavoro dipendente, tipo le indicazioni stringenti del datore di lavoro (cioè della piattaforma digitale collegata al telefonino del rider) su che tipo di consegna effettuare, dove e in quale orario.
In genere ricevono circa 5 euro a consegna, cioè 3,6 euro netti tolte le tasse e i contributi. Alcuni ricevono anche una parte di retribuzione fissa, legata al numero di ore in cui si rendono disponibili. In Svizzera, come scrive Il Giorno (“Rider, paghe alte solo in Svizzera”), i compensi sono il doppio: 18 euro l’ora. Molte volte i “fattorini a gettone” rischiano la vita. In tanti sono rimasti vittime di incidenti stradali. Lo scorso maggio Francesco Iennaco, 28 anni, originario della provincia di Napoli, è stato investito a Milano da un tram e ha perso la gamba destra. Il ragazzo si è fatto forza, ha reagito con carattere alla disgrazia: «Non vi preoccupate che Francesco c’è e torna in pista più grintoso di prima».
Proteste, scioperi, manifestazioni, incontri con le aziende e con il ministro del Lavoro Luigi Di Maio si sono susseguiti senza grandi risultati. I fattorini con compenso a chiamata hanno chiesto tutele e diritti. I sindacati dei trasporti di Cgil, Cisl e Uil sostengono che nell’ultimo contratto hanno inserito la figura del rider come lavoratore dipendente. Ma non basta. Il mercato dei ciclo-fattorini è una giungla nella quale domina la legge del più forte. I segretari delle tre confederazioni, Camusso, Furlan, Barbagallo, sono pronti a dare battaglia in sede sindacale, giudiziaria ma anche politico-parlamentare.
È un lavoro faticoso, precario e appeso a un filo. È la regola pedalare in bicicletta e correre in motorino (a proprie spese) più velocemente possibile, con la pioggia e anche con la neve. È vietato saltare turni o effettuare assenze pena finire in una sorta di “libro nero” con il rischio finale di essere sbattuti fuori. Si lavora dalle 9 alle 3 di notte. Il compenso medio mensile è di 300-800 euro, ma c’è anche lo stacanovista che può arrivare a 2.500 (1.900 al netto delle spese) per 13 ore di lavoro al giorno. Pochissimi ci riescono. Tuttavia se ci riescono, non possono fare altro nella vita salvo che dormire. È pericolosissimo: è un logoramento fisico e psicologico che spezza la vita.