Non è un miracolo,ma quasi. Da questo mese, da febbraio in Grecia il salario minimo sale di quasi l’11%: aumenta a 650 euro da 586 al mese. Si avvicina a 751 euro, il livello del 2012, quello di prima del varo delle misure di austerità per evitare la bancarotta. Alexis Tsipras è soddisfatto ma non suona le trombe: «È il minimo che si possa fare per i lavoratori che hanno sofferto, per tutti quelli che hanno visto i loro salari perdere di valore».
Il primo ministro ellenico usa toni rassicuranti anche verso i mercati finanziari internazionali che ancora nutrono dei dubbi sull’affidabilità di Atene: «Sta crescendo la fiducia nella nostra economia, possiamo permettercelo». Il reddito nazionale (Pil) dovrebbe crescere del 2,2% nel 2019, in aumento rispetto al già buon risultato del 2,1% nel 2018. Sono numeri estremamente lusinghieri, il tasso di crescita è nettamente superiore a quello italiano: nel nostro paese il Pil è salito l’1% l’anno scorso e potrebbe aumentare di appena lo 0,2% nel 2019.
Ma anche l’occupazione in Grecia è in lenta ripresa: i disoccupati sono diminuiti al 18,3% di oggi dal 27% del 2014. E i mercati apprezzano. Atene ha collocato una emissione di bond a cinque anni (scadenza 2024) per 2,5 miliardi di euro con un rendimento del 3,6%. Si tratta della prima emissione di titoli da quando il paese ellenico, lo scorso agosto, è uscito dall’ultimo piano di aiuti da 86 miliardi concordato con i creditori nel 2015.
Certo la gravissima crisi economica e il piano di salvataggio della Troika (Banca centrale, Commissione europea e Fondo monetario internazionale), imposto e accettato da Tsipras nel 2015, ha causato pesantissimi contraccolpi sociali. Dal 2009 la Grecia ha vissuto una tragica crisi. Sono stati tagliati i salari, le pensioni, la sanità per ridurre l’enorme deficit pubblico. La Grecia ha evitato il fallimento e il caos dell’uscita dall’euro, ma le condizioni di vita del ceto medio e di quello popolare sono sprofondate: i poveri sono raddoppiati, è scoppiata l’emigrazione di massa verso l’estero.
Il rigore finanziario subìto dalla Troika (sul quale recentemente ha fatto autocritica il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker) ha scatenato il malcontento popolare contro Tsipras: Syriza, la sua coalizione di sinistra radicale, ha patito due scissioni e perde quasi la metà dei consensi nei sondaggi elettorali (nel 2015 incassò oltre il 36% dei voti). Tsipras, quattro anni fa, con pragmatismo abbandonò le posizioni populiste anti euro ed euroscettiche, accettò le scelte di austerità volute da Bruxelles e dalla Germania per impedire al paese di affondare ma adesso deve fare i conti con il crollo della sua popolarità.
Tsipras si prepara ad affrontare le elezioni politiche di ottobre mettendo sul tavolo il miglioramento delle condizioni sociali ed economiche del paese e l’accordo con Skopje sul cambio di nome della ex Repubblica jugoslava di Macedonia in “Macedonia del Nord”. L’accordo, contestato dalla destra con proteste di piazza e visto con ostilità anche da molti greci perché la Macedonia è il nome della regione settentrionale del paese, ha messo in pericolo la stessa vita del governo. Ma Tsipras alla fine l’ha spuntata: il Parlamento ellenico gli ha confermato la fiducia ed ha approvato l’intesa con 151 sì e 149 no. Adesso la Macedonia del Nord, cessato il veto ellenico, potrà aderire all’Unione europea e alla Nato, come aveva sollecitato la cancelliera tedesca Angela Merkel nella visita ad Atene ai primi di gennaio.
Le elezioni politiche di ottobre saranno una dura sfida per Tsipras. Kyriakos Misotakis, leader dei conservatori di Nuova Democrazia, ha definito il primo ministro un «cacciatore di fortuna» e un «demagogo economico». Ha accusato: «Hai preso il potere con le bugie, l’hai gestito con bugie…Vedi la tua fine avvicinarsi». I sondaggi danno Nuova Democrazia in grande vantaggio, in testa quasi con il 40% dei voti. Tsipras è a caccia di un nuovo miracolo, quello elettorale per vincere alle politiche.