La parola magica è autonomia differenziata. Molte regioni del nord Italia chiedono la riforma delle autonomie. Puntano ad ottenere l’indipendenza decisionale ed economica in molteplici materie (in particolare su salute, infrastrutture, istruzione, cultura, ambiente, lavoro). I nuovi impegni regionali saranno finanziati trattenendo una parte delle tasse ora incassate dallo Stato.
Sul tavolo del governo M5S-Lega ci sono le richieste avanzate dalla Lombardia e dal Veneto (dopo i referendum tenuti nel 2017) e dall’Emilia Romagna. Ma anche altre regioni settentrionali vogliono passare al regime dell’autonomia differenziata. Si rischia lo scontro tra le regioni ricche del Nord e quelle povere del Sud. Su questi temi riceviamo e pubblichiamo un commento di Ernesto Rocchi, segretario generale dello Spi Cgil (Sindacato pensionati) di Roma e del Lazio.
In questi giorni il governo e alcune regioni del nord stanno accelerando i tempi dell’attuazione di quanto previsto dal terzo comma dell’art. 116 della Costituzione. Una attuazione “a pezzi”, con tre regioni anziché su un percorso ragionato, armonizzato e programmato con e per tutte le Regioni, che hanno deciso di avviare il citato procedimento costituzionale di trasferimento o assegnazione di competenze dallo Stato alle singole Regioni propedeutico alla legge vera e propria di conferimento.
Procedendo in questo modo il governo mostra di non tenere nella giusta considerazione quanto la CGIL reclama e cioè che sia garantito il principio perequativo e della solidarietà nazionale, a fronte di ogni trasferimento di competenze cui dovrà corrispondere il trasferimento delle relative risorse, facendo in modo che il passaggio graduale nei singoli territori dalla spesa storica ai fabbisogni standard si attui con uno standard qualitativo della prestazione, ritenuto necessario a garanzia della esigibilità dei diritti delle persone.
Il Consiglio regionale del Lazio, che ha approvato il 6 giugno un ordine del giorno per avviare il negoziato con il governo per giungere all’intesa Stato-Regione prevista dal citato art. 116, terzo comma, della Costituzione italiana, ne ha elencato le materie per le quali si rivendica le competenze, ma senza che ci sia stato un confronto con le più importanti parti sociali. In altre regioni sulla decisione da prendere è stato fatto un referendum.
Nel Lazio il tutto è avvenuto a partire da un ordine del giorno votato dal Consiglio, presentato il 6 giugno dal consigliere Pirozzi e da altri due consiglieri del gruppo misto, di opposizione alla giunta regionale. L’o.d.g individuava le materie: lavoro; istruzione; salute; tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; governo del territorio; rapporti internazionali e con l’Unione europea, con particolare riferimento alle predette materie.
La giunta con il successivo provvedimento, DEC44 del 16/10/2018, nel quale è confermato il tema della previdenza complementare e integrativa, positivamente ha deciso di escludere quello della sanità.
Sarebbe opportuno che la Regione Lazio sui contenuti della intesa che si accinge a fare con il governo ascoltasse le Organizzazioni sindacali e le altre parti sociali.
Il Consiglio delle Autonomie locali del Lazio nei prossimi giorni riunirà i suoi componenti, i presidenti di provincia e i sindaci dei comuni del Lazio per esprimere il proprio parere.