Il 2019 non porta bene a Beppe Grillo e ai grillini. Il fondatore e garante del M5S sembra aver perso l’antico carisma: quello del guru, del comico profetico che da zero ha portato al trionfo e al governo il Movimento anti élite. Subito l’anno nuovo si è presentato male. A metà gennaio, bendato, ha parlato in italiano agli studenti alla Oxford Union del Regno Unito ed è andata male. Le contestazioni sono state pesanti: «Buu!», «buffone!», «mettiamo fine a questa farsa!», «sei patetico!».
Grillo ha risposto facendo ricorso all’ironia: «Non siete cortesi…». In Italia non è andata meglio. A metà febbraio c’è stata una doccia fredda a Roma quando si è esibito nel suo show, Insomnia, uno spettacolo tenuto sui palcoscenici di mezza Italia. Un gruppo di dissidenti cinquestelle lo ha contestato davanti al Teatro Brancaccio per il voto online, tenuto sulla piattaforma Rousseau, che ha dato il disco verde al salvataggio in Parlamento di Matteo Salvini dal processo per sequestro di persona. I dissidenti gli hanno ricordato le antiche battaglie per la legalità e per l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge con cartelli al vetriolo: «Grillo traditore».
A Torino nuovo spettacolo Insomnia e nuova contestazione ai primi di marzo. Una ventina di manifestanti No Vax lo ha attaccato con cartelli e volantini davanti al Teatro Colosseo lanciando critiche sulfuree: «Insomnia» è diventato «Menzomnia». Sotto accusa è stata la sua firma, assieme a Matteo Renzi, del «patto della vergogna», quello pro vaccini del medico Roberto Burioni. Un “tradimento” perché la battaglia contro l’obbligatorietà dei vaccini è stata una delle lotte fondative, identitarie del M5S.
Sono i tormenti portati dal passaggio dall’opposizione anti sistema al governo formato lo scorso giugno dai grillini con i leghisti. Reddito di cittadinanza, rapporti con il compagno di governo Salvini, vaccini, euro, recessione, ambiente, grandi opere: sono tutti temi diventati scelte di governo esplosive e controverse. La Tav (la linea di alta velocità ferroviaria Torino-Lione) è quella più dirompente: rischia perfino di far saltare l’esecutivo Conte-Di Maio-Salvini. Il segretario della Lega e ministro dell’Interno vuole la Tav in nome dello sviluppo e dell’occupazione, Di Maio la boccia in nome dell’ambiente e dei costi.
È urgente ma difficile una mediazione per completare la Tav, opera concordata con la Ue e con la Francia. Luigi Di Maio è stretto in una morsa: ha ribadito il no alla Tav, una battaglia storica dei grillini, ma teme la crisi di governo. In caso di elezioni politiche anticipate si potrebbe ripetere lo scenario drammatico delle elezioni regionali in Sardegna e Abruzzo: la netta vittoria del Carroccio e il tonfo del Movimento.
Grillo dal palcoscenico del Teatro Colosseo ha indurito i toni: «Tav è una stella che fa ancora luce ma è morta». È una delle «cazzate enormi» da evitare. Il no del garante del M5S è un ulteriore problema per Di Maio, capo politico del Movimento, ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico.
Ala movimentista e ala governativa dei cinquestelle sono in rotta di collisione. Qualche giornale ipotizza anche una scissione.
Fino a poco tempo fa Grillo, in caso di contrasti, riusciva a ricomporre l’unità interna. Adesso però anche “l’Elevato”, come ama definirsi con un mix di ironia e narcisismo, non è più un leader incontrastato, acclamato da tutti senza eccezioni. Quando i grillini erano all’opposizione tutti i suoi interventi erano un clamoroso successo. Prima collezionava solo ovazioni e valanghe di applausi, adesso ogni intervento è a rischio. Un anno fa, dopo la strepitosa vittoria del M5S alle elezioni politiche del 4 marzo, assicurò in una intervista a Repubblica: «L’epoca dei Vaffa è finita, ma quella degli inciuci non comincerà».
Il problema di Grillo non è semplice: impedire uno sbocco moderato al “governo del cambiamento”. Adesso, però, manca il suo antico carisma per risalire la china.