Il pendolo della storia può girare improvvisamente. La leva può essere l’imposta patrimoniale. Una nuova scintilla di socialismo potrebbe arrivare dagli Stati Uniti d’America, proprio dalla nazione simbolo del capitalismo nel mondo.
Pare incredibile, eppure è così. Piano piano si sta facendo strada l’idea dell’imposta patrimoniale nel paese conquistato dal miliardario Donald Trump. Il presidente sovranista e nazionalista, che ha ridotto le tasse soprattutto agli alti redditi, ha già subìto una sensibile battuta d’arresto nelle elezioni di medio termine del 2018 per la Camera dei rappresentanti e il Senato.
Una parte dei democratici, ottenuta la maggioranza alla Camera, ha issato la bandiera dell’imposta patrimoniale ai ricchi per riconquistare la Casa Bianca. La senatrice Elisabeth Warren, candidata alle primarie democratiche per le le elezioni alla presidenza nel 2020, promette una patrimoniale del 2% sulle fortune comprese tra 50 milioni e un miliardo di dollari. Una cifra che lievita al 3% per i paperoni sopra il miliardo. Alexandria Ocasio-Cortez, ispanica, la più giovane deputata al Congresso, e il senatore Bernie Sanders, uno dei parlamentari più anziani, propongono una tassazione al 70% dei redditi più alti o al 77% delle successioni ereditarie.
Sanders, anche lui candidato alla Casa Bianca, chiede riforme dirompenti all’insegna dell’uguaglianza: la copertura sanitaria per tutti, le università pubbliche gratuite e il salario minimo di 15 dollari l’ora. Ha attaccato frontalmente Trump perché è «razzista, sessista, omofobo, xenofobo». Sanders è una figura carismatica, non fa mistero di essere un socialista democratico.
Thomas Piketty si compiace del vento nuovo proveniente dagli Usa. Anzi, sollecita ad andare oltre: per la patrimoniale vorrebbe puntare più in alto, al “5-10%”. L’economista francese nel suo blog su Le Monde non si è mostrato sorpreso della possibile rivoluzione fiscale egualitaria. Ha ricordato che la crescita delle disuguaglianze sociali negli Usa già portò a una patrimoniale nel 1913 e alla tassa di successione nel 1916. Tra il 1930 e il 1980, ha precisato, l’aliquota media sui redditi più alti negli Stati Uniti fu dell’81%.
L’autore di libri come Il capitale nel XXI secolo e di Capitale e disuguaglianza ha commentato: l’alta tassazione sui ricchi «con ogni evidenza, non ha distrutto il capitalismo americano». Semmai lo ha reso «più egualitario e produttivo». Dal 1980 Ronald Reagan e gli altri presidenti repubblicani, invece, hanno distrutto “questa eredità”. Secondo Piketty è stato un brutto colpo per i lavoratori e il ceto medio americano: ha ridotto della metà la crescita del reddito nazionale per abitante rispetto al 1930-1980.
Le zampate del liberismo e della globalizzazione in trent’anni hanno enormemente aumentato le disuguaglianze sociali nel mondo: 26 ultramiliardari nel 2018 possedevano l’equivalente della ricchezza della metà più povera del pianeta. È una disparità sociale inaccettabile, una pericolosa miccia di fame, povertà, morte, guerre e di rivolte populiste. I paperoni del mondo si concentrano proprio negli Stati Uniti. L’imposta patrimoniale su milionari e miliardari è una carta da giocare, non è solo una misura fiscale di carattere etico ma anche un mezzo per puntellare una nuova fase di crescita equilibrata, superando la minaccia di nuova recessione e stagnazione economica internazionale.
Non la pensa così Trump. Nel suo messaggio annuale al Congresso sullo stato dell’Unione ha dichiarato tra scroscianti applausi: «L’America non sarà mai un Paese socialista». Tuttavia qualcosa di nuovo si muove negli Usa. Il presidente sovranista americano, nonostante tutte le dichiarazioni bellicose, non è riuscito a ridimensionare lo stato sociale, sul versante della sanità, edificato dai democratici dai primi anni Sessanta del secolo scorso fino ai primi del Duemila su iniziativa di Barack Obama.
La patrimoniale è uno strumento economico ma anche politico per aiutare la libertà e la democrazia in pericolo in tutto il mondo. C’è da rassicurare il ceto medio impaurito e impoverito dalla Grande crisi economica e sedotto dappertutto, in America come in Europa, dalle sirene del populismo, del nazionalismo e dell’autoritarismo. La scintilla socialista americana, se scoccherà, potrà anche rivitalizzare la sinistra europea in coma profondo. In fondo l’Europa è stata la patria del socialismo e della socialdemocrazia.