Diffidenza, anzi avversione. La Nuova Via della Seta ha fatto scattare l’allarme a Washington e a Bruxelles. Gli Stati Uniti d’America e l’Unione Europea guardano con preoccupazione alle possibili intese tra l’Italia e la Cina. La Casa Bianca, in particolare, ha invitato il nostro paese a non legittimare i progetti espansionistici di Pechino.
Donald Trump, che ha aperto un vasto contenzioso con Xi Jinping imponendo dei dazi sulle esportazioni cinesi negli Usa, teme una penetrazione dell’ex Celeste Impero in Occidente attraverso la “porta” dell’Italia. Una penetrazione rischiosa, secondo il presidente americano, perché gli accordi economici Italia-Cina potrebbero influenzare, potrebbero perfino ledere le alleanze politiche e militari dell’Occidente democratico.
La Repubblica Popolare Cinese, seconda economia del mondo dopo gli Stati Uniti, è un colosso su tutti i fronti: demografico, politico, finanziario, militare, industriale, tecnologico. È riuscita in un miracolo: fa coesistere un regime politico di dittatura comunista con un sistema economico di capitalismo selvaggio. Dopo un boom economico ininterrotto di quarant’anni il meccanismo produttivo del Dragone, però, sta rallentando. Il progetto della Via della Seta (collegamenti stradali, marittimi e digitali) è la grande scommessa di rilancio economico e politico: partita dai paesi dell’Estremo Oriente, si è snodata nell’Asia Centrale, in Africa per arrivare quindi in Europa. Partecipano all’iniziativa oltre 80 paesi.
Grecia, Portogallo, Polonia e Ungheria hanno già aderito alla Via della Seta ed ora Xi Jinping punta all’Italia. Il presidente della Repubblica Cinese il 21 marzo sarà a Roma e il 23 a Palermo. Sarà accompagnato da tutti i grandi gruppi imprenditoriali del suo paese. L’obiettivo è firmare con Giuseppe Conte un “Memorandum d’intesa” sulla Via della Seta. Il presidente del Consiglio è a caccia d’investimenti per combattere la recessione e per sostenere i disastrati conti pubblici. Le possibili collaborazioni coinvolgono il settore strategico delle infrastrutture: strade, ferrovie, porti, energia e telecomunicazioni.
L’Italia sarebbe il primo paese del G7 ad aderire al corteggiamento di Xi Jinping (tra i suoi principali obiettivi ci sono i porti di Venezia, Trieste, Genova, Palermo). Luigi Di Maio, reduce dai viaggi in Cina dei mesi scorsi, cerca di rassicurare Washington e Bruxelles. Il vice presidente del Consiglio grillino ha garantito: «La Via della Seta non è assolutamente un’occasione per stabilire nuove alleanze a livello mondiale» ma per favorire le esportazioni italiane e «per riequilibrare» lo spaventoso deficit verso la superpotenza dell’Estremo Oriente.
Suona una musica un po’ diversa Matteo Salvini: verso la Via della Seta «non abbiamo pregiudizi, ma molta prudenza». Il vice presidente del Consiglio leghista non ha usato perifrasi: «Non vorremmo diventare una colonia». Salvini, fino a poco tempo fa un deciso sostenitore di Vladimir Putin ed euroscettico accanito, si pone dunque come il campione della lealtà occidentale dell’Italia: niente cambi di alleanze politiche internazionali, collaborazioni commerciali sì ma non condizionanti.
Il presidente del Consiglio si colloca a metà strada tra Di Maio e Salvini: il “Memorandum d’intesa” ha solo obiettivi di crescita economica e non geopolitici di cambio delle alleanze. Giuseppe Conte ha confermato in una intervista al Corriere della Sera le storiche alleanze con gli Stati Uniti e con l’Unione Europea: «La Nato è un pilastro fondamentale della nostra politica estera». Perciò «non ci sono ragioni ostative» alla firma dell’accordo sulla Via della Seta.
Chissà se basterà a Trump. Il presidente americano aveva subito simpatizzato e stabilito un asse populista con Conte: «Siamo entrambi due outsider della politica». Si era anche mobilitato per cercare degli investitori per aiutare le traballanti finanze pubbliche italiane, acquistando Bot e Btp. Xi Jinping a fine marzo, dopo la visita a Roma, andrà proprio da Trump per discutere di dazi. Una eventuale intesa con l’Italia sulla Via della Seta potrebbe rendere più forte la posizione di Pechino.