Gli analisti del fenomeno migratorio italiano di questi ultimi venti anni hanno gradualmente virato nella lettura del fenomeno da una valutazione tutto sommato positiva ad una consapevolmente preoccupata. Le indagini sul costante esodo ripetuto negli anni dei giovani usciti e non tornati ha confermato l’esistenza di una emigrazione “proletaria”, prevalente rispetto a quella precedentemente enfatizzata dei cosiddetti “cervelli in fuga”.
Si emigra per lavorare, per sfuggire ad una precarietà strutturale indotta e si finisce per entrare, salvo eccezioni, in una nuova precarizzazione e dequalificazione che si accompagna ad una riduzione dei diritti sociali, che i singoli paesi europei di accoglienza non garantiscono pienamente a quei giovani immigrati che in ogni caso sono o dovrebbero essere paritariamente cittadini europei.
Nella società italiana vi è ormai consapevolezza del fatto che non c’è nella maggior parte dei casi una “mobilità circolare” di giovani che, finito un ciclo di crescita professionale, è pronta a tornare per aprire una impresa con gli incentivi previsti dalle regioni. Ma giovani che sanno bene che le condizioni di crisi strutturale occupazionale alla base delle lor partenze sono ancora irrisolte, anzi peggiorate dalla recessione conclamata.
I governi, ivi compreso quello in carica, mostrano, con le scelte pubbliche effettuate che prescindono dalle tutele dei giovani che emigrano, di non avere la stessa consapevolezza che hanno i cittadini.
Ci sono regioni, dal Lazio, alla Lombardia, al Sicilia, al Veneto dove l’emigrazione è molto consistente come significativa è l’immigrazione da altri paesi.
Nei prossimi giorni si terrà a Palermo, promossa dalla commissione giovani del CGIE (Consiglio generale degli italiani all’estero), una conferenza dei giovani italiani nel mondo. La commissione ha un suo programma di lavoro e sue finalità. Una impostazione diversa dalla precedente conferenza mondiale dei giovani tenutasi dieci anni or sono. Una conferenza, quella di allora, con alcuni limiti ma con una discussione di merito e con rivendicazioni contenute in un documento finale ricco di spunti e che, pur segnato dal tempo trascorso e dalle inadempienze delle istituzioni, resta fortemente di attualità. Un documento, quello, che rivendichiamo come nostro per il forte contributo che l’associazionismo ha apportato allo stesso.
Noi pensiamo che il CGIE, pur alle prese con problemi multipli e impegnativi, pur nelle difficoltà che investono il mondo della rappresentanza, politica, sociale e istituzionale degli italiani nel mondo, debba svolgere una funzione sollecitante il governo perché si prenda carico dei problemi dei giovani che, emigrando per sfuggire ad una vita precaria, si ritrovano precari all’estero. Si tratta di giovani ma anche di giovani famiglie (come nei due dopoguerra italiani).
L’iniziativa di Palermo è una occasione nella quale soprattutto i giovani provenienti dall’Europa potrebbero confrontarsi e fornire utili spunti su politiche e strumenti concreti di sostegno ai quanti, giovani, emigrano.
I nostri giovani sono andati e vanno in paesi europei che offrono migliori condizioni dell’Italia ma che hanno subito sui sistemi produttivi e sulle economie gli stessi effetti prodottisi in Italia a seguito dei processi di trasformazione indotti dalla globalizzazione.
Dal sud dell’Italia verso il Norditalia e l’Europa, e dal NordiItalia verso l’Europa. Le società europee sono tuttavia, da tempo, meno accoglienti, le legislazioni, fra loro similari, restrittive e discriminanti, distinguono i cittadini dagli “altri”. Il consenso ampio al cosiddetto sovranismo ha cambiato anche il senso di solidarietà nelle persone. Il modello europeo fondato su diritti e welfare si sta riducendo.
Il governo italiano che si dichiara e ritiene di dover agire verso gli immigrati secondo la stessa impostazione sovranista affermata o di fatto praticata in Europa verso “gli altri”, non intervenendo fa subire quegli effetti negativi del “sovranismo in ogni paese” proprio a quei cittadini italiani che si afferma debbano venire prima degli altri. Un paradosso degno di miglior causa.
L’emigrazione intereuropea, la possibilità di muoversi nell’area Schengen, una delle cose concrete positive dello stare insieme in Europa, sta subendo colpi per le scelte sovraniste. Ci sono diritti welfaristici che vengono vincolati all’esistenza del rapporto di lavoro e che quindi non sono più diritti universalistici, di cittadinanza.
L’associazionismo degli italiani nel mondo richiede che ci sia un ruolo attivo dello Stato nelle forme e nei modi più consoni e ritiene il ruolo delle organizzazioni sociali sussidiario e non sostitutivo di uno Stato che tende a farsi minimo quando si tratta di cittadini italiani all’estero.
Da questo punto di vista le istituzioni deputate non mostrano di aver elaborato il minimo di una progettualità necessaria per affrontare questioni attuali irrisolte che pure vanno prese in carico sapendo anche che la loro soluzione, se si vuole ottenere risultati, presuppone periodi lunghi.
Nel dibattito si enfatizzano le reti sociali di aiuto-aiuto dei giovani, si confida nelle capacità di risposta ulteriore dei patronati la cui importante funzione, tuttavia, viene al contempo messa in discussione e resa difficoltosa dalla riduzione delle risorse finanziarie necessarie.
Lo Stato deve svolgere il suo ruolo per creare occupazione frenando l’esodo di chi vuole uscire dalla precarietà a vita ma intanto deve anche dare sostegno ai giovani italiani che emigrano per trovare lavoro. Di loro se ne deve occupare anche il Parlamento
Autorganizzazione come possibile soluzione. È nella cultura e nel DNA del nostro mondo di emigrazione. Autorganizzazione certo, ma non sostitutiva delle responsabilità dello Stato. Il solidarismo laico e cattolico è nella storia delle nostre comunità all’estero. Gli esempi del passato sono numerosi, fecondi, interessanti anche se nelle società dell’anno 2019 le energie sprigionate dalla solidarietà vanno messe al servizio di interventi, servizi e strumenti efficaci nelle condizioni date e nei contesti attuali.
I giovani italiani all’estero hanno necessità di informazioni. Ora prevale il “fai da te”. I giovani vanno ben informati quando partono e devono trovare consulenza e accompagnamento strutturati. È compito dello Stato non lasciarli soli là dove vanno e dove sappiamo che i diritti degli immigrati crescentemente vengono messi in discussione.
Le vecchie catene solidaristiche di famiglia e di paese non si sono più riprodotte nella nuova emigrazione europea. I giovani si trovano soli anche per l’attenuarsi del ruolo di quegli enti intermedi democratici attenti al mondo del lavoro (sindacati, partiti, associazioni nei paesi di accoglienza) prima attivi nella inclusione sociale degli immigrati oggi indicati spesso, in larga parte dell’Europa, come superati o superabili dal conclamato esclusivo rapporto diretto tra popolo e governanti in virtù della legittimazione data dal risultato elettorale.
Le tutele servono per i giovani per i quali il dilemma tornare o restare si pone meno spesso a fronte di un paese, l’Italia che seguita a non crescere e non crea occupazione qualificata.
L’associazionismo in emigrazione ha esperienze fatte, risultati conseguiti in tema di diritti ma non mostra di essere in grado consolidare le energie necessarie per le questioni aperte e che necessitano di tempi medi-lunghi quanto al raggiungimento di risultati non occasionali.
Le aggregazioni in rete dei giovani, le esperienze organizzative diverse e interessanti che i giovani si sono date devono incontrare e trovare intese e soluzioni organizzative con le associazioni preesistenti in specie con quelle di promozione sociale molte delle quali sono strutturate ed hanno strumenti che vanno ritarati per le esigenze concrete dei giovani della nuova emigrazione.
Il FAIM (Forum delle associazioni italiane nel mondo) dopo l’iniziativa precedente del 2017 di Palazzo Giustiniani sta preparando nei prossimi mesi la seconda iniziativa sulla nuova emigrazione nella quale prospetterà soluzioni e indicherà possibili strumenti concreti. Dopo l’approfondimento sul campo e l’analisi della realtà, l’associazionismo intende prospettare indicazioni concrete da confrontare con le istituzioni in una Europa, quella di oggi, che rende insoddisfatti quanti, convintamente europeisti, la vogliono, federale e dei popoli, cambiata e con al centro diritti e welfare non meno di quanti, cui la stessa parimenti non piace ma che ritengono che il ritorno alla piena sovranità degli stati nazionali possa essere la giusta dimensione per recupera con forza diritti e welfare. Sulle due ipotesi, in ogni caso. la risposta potrà venire, forse, dalla ormai imminente consultazione elettorale europea.