L’Arco di Druso compare improvvisamente. Un turista diretto sull’Appia Antica lo vede spuntare come per magia in via di Porta San Sebastiano, una strada di Roma a un passo dal centro e a sorpresa immersa nel verde.
L’Arco di Druso, uscendo da Roma, è poco prima di Porta San Sebastiano: segnava l’ingresso nella città eterna dall’Appia Antica, la più importante strada consolare prima della Repubblica e poi dell’Impero romano. La tradizione vuole che quell’Arco segnò il trionfo di Nerone Claudio Druso detto Druso Maggiore, per le vittorie in Germania nel lontano anno 9 avanti Cristo. In realtà, secondo storici ed archeologi, non si tratta di un arco di trionfo ma di un fornice dell’acquedotto fatto costruire due secoli dopo dall’imperatore Antonio Caracalla per alimentare d’acqua le sue enormi terme. Dell’arco di trionfo di Druso, invece, si sono perse le tracce.
Nerone Claudio Druso padre e Nerone Claudio Druso figlio, chiamato Giulio Cesare Germanico dopo la morte del genitore per l’adozione di Tiberio voluta da Augusto, hanno avuto destini simili: generali coraggiosi molto amati dal popolo romano, tutti e due designati a divenire imperatori sono invece morti entrambi prematuramente. Il primo, figlio di Livia Drusilla e di Ottaviano Augusto (nacque poco prima del matrimonio) è morto a 47 anni; il secondo, figlio adottivo dell’imperatore Tiberio, si è spento ad appena 34 anni.
I due Druso si erano posti lo stesso obiettivo politico e militare: conquistare la Germania, allargare i confini dell’impero romano ad est del fiume Reno, arrivando all’Elba in modo da mettere fine agli attacchi delle tribù germaniche alla Gallia e all’Italia. Tutti e due, a distanza di trent’anni, sfiorarono l’ambizioso traguardo. Druso, dopo aver conquistato la Rezia (Alto Adige, parte della Baviera, della Svizzera e dell’Austria) assieme al fratello Tiberio, si lanciò nell’impresa.
Collezionò una serie di grandi vittorie sui germani ma proprio vicino all’Elba cadde da cavallo, si ruppe una gamba e una infezione gli tolse la vita a Magonza. Tiberio si precipitò da Pavia, lo raggiunse percorrendo in un giorno e mezzo 200 miglia, e fece in tempo a vederlo esalare l’ultimo respiro. Svetonio scrive: «Augusto amò immensamente Druso», pianse inconsolabile per la sua morte e diede al figlio il nuovo nome di Giulio Cesare Germanico, in onore del padre morto.
Germanico somigliava molto al genitore: coraggioso, capace, intelligente. Si fece amare dai legionari: sedò una rivolta delle truppe sul Reno non solo con la forza ma riconoscendo delle indennità e il congedo anticipato ai militari. Ritentò la conquista della Germania fino all’Elba sconfiggendo ripetutamente le tribù germaniche, recuperando due aquile perse da Quintilio Varo e dando sepoltura ai legionari romani massacrati anni prima da Arminio nella foresta di Teutoburgo. Voleva andare avanti ma Tiberio lo fermò perché ancora non c’era stata una vittoria definitiva. La Germania era un paese primitivo composto da pericolose paludi e foreste perciò l’imperatore, sulle orme di Augusto, decise di lasciare il confine sul Reno.
Spedì in Asia Germanico, molto amato dal popolo romano, con poteri speciali. In Oriente collezionò una serie di successi politici e diplomatici con l’Impero dei parti e con altri regni asiatici. Morì improvvisamente ad Antiochia, una morte provocata da una strana malattia tanto repentina quanto dolorosa. Il proconsole della Siria Calpurnio Pisone, fedelissimo di Tiberio con il quale era entrato in rotta di collisione, fu accusato di averlo avvelenato ma poi fu assolto.
Le ceneri di Germanico vennero portate a Roma e tumulate nel Mausoleo di Augusto, insieme con quelle del padre Druso e del primo imperatore romano. Il dolore del popolo fu enorme per la perdita. Tacito racconta: Germanico «aveva sentimenti liberali ed una straordinaria affabilità, che contrastava con il linguaggio e l’atteggiamento di Tiberio, sempre arroganti e misteriosi».