Ho ancora stampato in testa il viso sofferente di Gianni De Michelis. Ero uscito dal Transatlantico della Camera e l’ho incrociato nel corridoio di sinistra. La sua figura sempre fisicamente imponente ondeggiava, sarebbe caduto a terra senza il sostegno dell’accompagnatore. Ho azzardato timidamente: «Come stai?». Mi ha riconosciuto e mi ha risposto con un lieve sussurro. Ho pensato di aver capito: «Così…!».
Era il 2014. La conversazione non è andata molto oltre. Ho ricordato immediatamente il vitale ed esuberante De Michelis del 1982. Allora era ministro delle Partecipazioni statali e io lavoravo all’Avanti!. Come giovane cronista del servizio sindacale-economico andai a seguire una assemblea di De Michelis con i lavoratori della Fatme, una fabbrica di telefonia della Eriksson alla periferia di Roma coinvolta in un rischioso processo di ammodernamento tecnologico. Era un appuntamento difficile. Non usò giri di parole. Con coraggio indicò la strada dei sacrifici e degli investimenti per assicurare il futuro produttivo e occupazionale dell’impianto: «Occorre abbandonare la demagogia e non imbrogliare i lavoratori con menzogne». Partì qualche fischio, ma poi prevalsero gli applausi tra i mille operai e tecnici riuniti nella sala mensa della Fatme. Parlò con padronanza come quando dettava a braccio dei complicati articoli di politica economica all’Avanti!.
Stesso discorso per il Patto anti-inflazione sulla scala mobile del 1984 proposto dal governo Craxi; accettato da Cisl, Uil, socialisti della Cgil e bocciato dai comunisti della confederazione su pressione del Pci di Berlinguer. Allora era ministro del Lavoro. Nel 1983 era nelle fabbriche a sostenere: «Il sindacato non deve avere paura di perdere consensi perché fa scelte impopolari. La gente capisce se si parla chiaro». Una coraggiosa impostazione riformista, esattamente opposta alle roboanti e fallaci promesse del populismo. Il Patto anti-inflazione fu realizzato con il decreto di San Valentino del 1984 e con il successivo referendum del 1985: fu sconfitta l’inflazione, ripartì l’economia e l’occupazione.
Le fabbriche le conosceva. Laureato in chimica industriale, docente universitario, già da ragazzo era impegnato in politica con i socialisti e distribuiva volantini davanti agli stabilimenti di Marghera. Nel 1976 era uno degli intellettuali trentenni e quarantenni che al congresso dell’Hotel Midas sostenne la candidatura di Bettino Craxi alla segretaria del Psi al posto di Francesco De Martino. Appoggiò con convinzione il nuovo corso socialista per modernizzare la società italiana non dimenticando l’uguaglianza. I vecchi equilibri politici italiani scricchiolarono sotto una doppia contestazione politica: la centralità della Dc sul governo e l’egemonia del Pci sulla sinistra. Appoggiò la grande mobilitazione culturale di Craxi per spezzare gli ultimi legami del Psi con il marxismo-leninismo e per creare una forza liberalsocialista. Deputato dal 1976 al 1994, vice presidente del Consiglio, più volte ministro nei governi Cossiga, Forlani, Spadolini, Fanfani, Craxi, De Mita e Andreotti. Due i momenti chiave: da ministro del Lavoro per il Patto anti-inflazione e da ministro degli Esteri (1992) per dare vita all’Unione europea con il trattato di Maastricht.
Oltre alle fabbriche e alla Camera frequentava con assiduità, capelli lunghi e mole corpulenta, le discoteche. Ruppe con la vecchia figura del grigio politico tirandosi dietro feroci critiche dall’interno e dall’esterno del Psi. Ha spiegato: «Mi piaceva. Ero avanzo di balera, non di galera, volevo sfidare le benpensanterie! Ballavo qualsiasi cosa!».
Tangentopoli lo ha messo nel tritacarne politico, giudiziario e umano assieme a tutto il mondo socialista. Ha reagito al crollo del Psi e della Prima repubblica alleandosi con Silvio Berlusconi e fondando il Nuovo Psi nel 2001. Ma non era soddisfatto. L’obiettivo era di «scomporre per ricomporre». Aggiungeva: «Siamo nel centro-destra per una scelta strumentale, perché c’è un bipolarismo bastardo». Nel congresso del Nuovo Psi del 2007 ruppe gli indugi aderendo alla Costituente socialista collocata nel centro-sinistra proposta dallo Sdi di Enrico Boselli: «Una forza socialista non può che essere di sinistra».
Tuttavia non è finita bene per demerito di tanti. Il rinato Psi è un micro partito, il centro-sinistra alle ultime elezioni politiche del 2018 è arrivato appena al 23% dei voti, il Pd (erede del Pci e della Dc) è crollato al 18%. L’Italia fa da laboratorio mondiale della scomparsa della sinistra. Gianni De Michelis è morto nella sua Venezia sabato 11 maggio a 78 anni. Non ha rinnegato i balli sfrenati, ma ha avuto degli accenti critici: «Eravamo la parte più avanzata della società italiana e c’era anche la parte negativa dei nani e delle ballerine».