I dazi e la Luna. La competizione tra Stati Uniti e Cina non ha confini: si allunga dai commerci sulla Terra alla conquista dello spazio. La Repubblica Popolare Cinese insidia l’egemonia globale della superpotenza americana. Lo scorso gennaio ha fatto planare la sonda Chang’e-4 sulla faccia nascosta della Luna e l’11 maggio il robot Yutu-2 ha percorso 190 metri per esplorare il lato oscuro del satellite della Terra.
Strana coincidenza: il 10 maggio, il giorno precedente, si sono conclusi senza un accordo i negoziati a Washington sui dazi. Anzi, quasi si è sfiorata la rottura. Dal 10 maggio Donald Trump ha dato il via libera all’aumento delle imposte dal 10% al 25% su 200 miliardi di dollari di merci del Dragone. Ora circa la metà delle esportazioni cinesi negli Usa hanno subito la batosta dei dazi protezionistici. Il presidente americano già pensa alle elezioni del 2020 per la Casa Bianca e alterna minacce ad aperture: «L’accordo con la Cina sarà ben peggiore se dovrà essere negoziato nel mio secondo mandato. Sarebbe saggio per loro agire ora». Comunque i rapporti con Xi Jinping restano «molto forti».
Ma ormai siamo alla “guerra dei dazi”. Lunedì 13 maggio sono scattate le “contromisure” di Pechino. Dal primo giugno saliranno i dazi su 60 miliardi di esportazioni americane dal 5% fino al 25%. L’aumento delle imposte, per il ministero del Commercio, è «una risposta all’unilateralismo e al protezionismo» degli Usa. In particolare saranno colpite le derrate alimentari, dei prodotti chimici, i trattori e alcuni componenti delle automobili. La Cina spera, però, che Washington torni a discutere «allo scopo di raggiungere un accordo vantaggioso sulla base del rispetto». Lunedì 13 maggio le Borse di tutto il mondo sono crollate (Wall Street ha perso il 2,38%) per il colpo del Dragone, un altro ribasso dopo quelli già subiti per mano americana.
Probabilmente si continuerà a negoziare a Pechino. C’è circa un mese di tempo per arrivare a un’intesa ed evitare il peggio. Il presidente americano e quello cinese si vedranno il 28 e 29 giugno al vertice del G20 fissato a Osaka, in Giappone. Per quella data o ci sarà un accordo oppure saranno guai seri per le Borse internazionali e per la crescita globale, compresa quella dei due giganti in competizione.
E può peggiorare. Gli Usa stanno preparando nuove tasse su 325 miliardi di dollari di importazioni dal Dragone: praticamente l’intero ammontare delle esportazioni “made in China”. Il braccio di ferro è infinito. Dal 22 gennaio 2018, quando cominciò la guerra dei dazi con le prime imposte sulle lavatrici cinesi, Trump chiede un riequilibrio dei rapporti. Gli Stati Uniti vogliono l’eliminazione degli aiuti pubblici alle aziende cinesi e una maggiore tutela della proprietà intellettuale. Pechino reclama la cancellazione di tutti i dazi imposti dagli Usa per arrivare a un accordo e difende la propria legislazione commerciale.
Xi Jinping conta su un forte potere contrattuale. La Cina, con la Nuova Via della Seta (all’iniziativa ha aderito anche l’Italia), ha preparato altri sbocchi commerciali per le sue merci in Asia, Africa e Europa. Non solo. Nei suoi forzieri sono custoditi una buona parte dei titoli del debito pubblico statunitense. Tra Trump e Xi è in corso una partita a poker da incubo fatta di improvvisi rialzi: senza una intesa ci saranno solo perdenti. La guerra dei dazi può coinvolgere anche l’Europa e il Giappone. Può comparire lo spettro di una nuova, pesante recessione economica mondiale. Il rischio è un crac globale.