Di Maio e Salvini usano aggettivi molto impegnativi. Le loro riforme segnano un «passaggio storico» e delle «svolte epocali» per l’Italia. Il capo politico del M5S si riferisce al reddito di cittadinanza per «cancellare la povertà» e alla fondazione di «un nuovo Welfare». Il segretario della Lega parla della cosiddetta “quota 100” sul pensionamento anticipato («smantelliamo la legge Fornero»).
Il vocabolario è roboante, ma i provvedimenti del governo grillo-leghista hanno una dimensione molto più ridotta rispetto agli originari progetti prodigiosi. Pesano negativamente sia le disastrate condizioni dei conti pubblici sia la stagnazione economica nella quale è piombata l’Italia anche per lo scontro permanente tra i due vice presidenti del Consiglio (è appena lo 0,2% l’aumento del reddito nazionale previsto dall’esecutivo per quest’anno).
Il reddito di cittadinanza, per i tanti “paletti” posti dal “governo del cambiamento”, quasi certamente andrà solo a circa la metà dei beneficiari previsti, invece dei 5 milioni di poveri indicati dal ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico. Inoltre, probabilmente, la grande maggioranza dei beneficiari non incasserà 780 euro al mese ma somme molto inferiori. Il reddito di cittadinanza, infine, non sarà a tempo indeterminato ma avrà una durata limitata.
Per “quota 100” (almeno 62 anni di età e 38 di contributi per andare in pensione anticipata) la situazione è analoga: il provvedimento durerà tre anni, sempre che non si fermi prima. Poi si vedrà. Non solo. Andando in pensione prima dei 67 anni previsti dalla legge Fornero, l’interessato perderebbe dal 5% al 30% secondo i calcoli dell’Ufficio parlamentare del bilancio.
Reddito di cittadinanza (cavallo di battaglia dei cinquestelle) e “quota 100” (bandiera dei leghisti), dunque, sono riforme a metà, a scartamento ridotto: non sono universalistiche perché non sono dirette a tutti i cittadini e non sono a tempo indeterminato ma a termine.
Uguale discorso vale per la flat tax (la tassa unica al 15%), cara al ministro dell’Interno e segretario della Lega. La legge di Bilancio 2019 ne ha limitato l’applicazione solo ai lavoratori autonomi a partita Iva con un reddito fino a 65 mila euro l’anno.
Tutti gli altri lavoratori e i pensionati continueranno a pagare le salatissime tasse sul reddito personale scandite su cinque aliquote Irpef (imposte da un minimo del 23% a un massimo del 43%). Per il 2020 Salvini ha annunciato «una rivoluzione storica» con la flat tax per le famiglie, ma c’è chi non vedrà nulla. Lui ha stesso ha avvertito: sarebbe «non per tutti ma per tanti» (servirebbero 12-15 miliardi di euro l’anno solo per le famiglie di una parte del ceto medio).
Le promesse mirabolanti fatte prima delle elezioni politiche del 2018 di riforme per tutti, universali, sono saltate: sono state fortemente ridimensionate o annullate (come nel caso del calo delle accise sulla benzina). Almeno per ora. Nel corso della campagna elettorale per le elezioni europee del 26 maggio, sia Di Maio sia Salvini hanno riconfermato l’impegno al generale taglio delle tasse. Hanno assicurato: ci sarà tempo perché il governo durerà «altri quattro anni». Tuttavia il tempo a disposizione potrebbe essere breve, brevissimo. I contrasti tra i due vice presidenti del Consiglio sono diventati esplosivi: l’esecutivo M5S-Lega potrebbe collassare subito dopo le elezioni europee del 26 maggio.