Un «mero esecutore». Addirittura «un burattino» nelle mani di Salvini e Di Maio. Il no di Giuseppe Conte ai mini-Bot, ipotizzati dal primo e sostenuti dal secondo, fa giustizia di tante accuse al vetriolo di subalternità. Quando lo sconosciuto professore di diritto privato arrivò un anno fa a Palazzo Chigi per molti aveva una scarsa indipendenza.
Di Maio e Salvini si sbarrarono a vicenda la strada così Conte, dopo le elezioni politiche del 2018, divenne presidente del Consiglio su proposta del capo politico del M5S che lo lodò con Mattarella sul piano professionale ed etico.
Giuseppe Conte si definì «avvocato del popolo» e, garbatamente, cominciò a farsi rispettare e a difendere le proprie competenze dagli sconfinamenti (dalla politica estera a quella economica) dei due vice presidenti del Consiglio. Non è stato e non è facile. Sia il capo politico dei cinquestelle sia il segretario dei leghisti, si sentivano e si sentono i veri dominus del “governo del cambiamento” per il mandato ricevuto dalle urne.
Conte, però, con modi gentili nei mesi scorsi ha smussato e respinto molte “sparate” dei due vice (tante volte in contrasto e in competizione tra loro) ed è andato avanti riuscendo a schivare innumerevoli pericoli: con estenuanti e lunghe trattative a dicembre ha evitato le sanzioni europee per l’eccessivo debito pubblico italiano. Successivamente la campagna elettorale per le europee del 26 maggio, segnata dallo scontro permanente tra i due alleati di governo, ha fatto traballare tutto. La strepitosa vittoria di Salvini alle europee e la disfatta di Di Maio hanno portato l’esecutivo M5S-Lega all’immobilismo e a un passo dalla crisi.
A questo punto Conte ha detto basta. Ai primi di giugno ha minacciato le dimissioni: alt «con i proclami da campagna elettorale» altrimenti «rimetterò il mio mandato al presidente della Repubblica». Ha chiesto «una risposta chiara» da Salvini e Di Maio. I due vice premier gli hanno confermato la loro piena fiducia, ma subito sono scoppiati nuovi, forti contrasti sul fronte europeo.
Sono due i problemi più gravi: 1) si è riaffacciato il pericolo delle sanzioni europee per il deficit e il debito pubblico eccessivo nel 2019; 2) è emersa la proposta leghista di varare i mini-Bot. Salvini, appoggiato da Di Maio, ha avanzato l’ipotesi di realizzare dei mini-Bot per pagare i debiti della pubblica amministrazione. Conte con parole cortesi ha respinto l’idea perché «presenta diverse criticità». Il ministro dell’Economia Tria, sulla stessa linea del presidente del Consiglio, è stato molto più netto con un secco no. Ha spiegato la bocciatura usando praticamente le motivazioni del presidente della Bce Draghi: i mini-Bot non sono ammissibili perché o sono una valuta alternativa all’euro o aumentano il debito pubblico.
Un bel salto quello di Giuseppe Conte. Ha formalmente rivendicato la sua piena autonomia istituzionale di iniziativa politica e di direzione del governo, rifiutando pressioni e interferenze. Ai leghisti che lo hanno accusato di non essere imparziale e di appoggiare il M5S ha replicato: «Non sono mai stato iscritto al Movimento 5 Stelle». C’è stata una vera metamorfosi in un anno di governo: si è emancipato da Salvini e Di Maio. Adesso Conte appare quasi come un presidente del Consiglio tecnico, in sintonia con Sergio Mattarella, deciso a dialogare e a non “strappare” con la Ue. In sintesi: i parametri per l’euro vanno cambiati ma senza dare l’impressione di volere uscire dalla moneta unica. Solo così si potrà scongiurare, è il suo ragionamento, la rovinosa procedura d’infrazione per la violazione delle regole sull’euro.
Può succedere di tutto, anche la crisi di governo e le elezioni politiche anticipate. Il tam tam di Montecitorio diffonde una suggestione. Conte potrebbe dare vita assieme all’imprenditore Urbano Cairo (editore del Corriere della Sera e di La7) a una nuova lista elettorale centrista. Anzi, gli ex Dc Rotondi e Buttiglione (un tempo alleati di Silvio Berlusconi) già si sarebbero messi all’opera per costruire progetto politico e lista elettorale centrista. Alcune voci azzardano: potrebbe raccogliere il 12% dei voti. La logica politica vorrebbe Salvini, in fortissima crescita di consensi, in pressing per arrivare al voto anticipato. Tuttavia nell’epoca del populismo la scienza dell’analisi politica inaugurata da Machiavelli rischia di far cilecca. Siamo nell’era del narcisismo politico, così Pino Pisicchio invita ad utilizzare anche lo strumento della psicologia per capire come possa andare a finire.