Rispunta la partita della fusione Fca Renault. Il governo francese vuole riaprire il dialogo con il gruppo automobilistico italo-americano. La ministra dei Trasporti del paese transalpino, Elisabeth Borne, è stata la più chiara tra i suoi colleghi di governo: il dossier dell’accordo con Fiat Chrysler Automobiles «non è chiuso».
La rottura sembrava insanabile. Le ripetute riunioni del consiglio di amministrazione della Renault si erano concluse senza esito. Il consiglio di amministrazione di Fca, presieduto da John Elkann, il 6 giugno era stato categorico: è ritirata «con effetto immediato» la proposta di fusione paritaria con Renault presentata il 27 maggio. Il Lingotto addossava tutte le responsabilità su Parigi: «Non vi sono attualmente in Francia le condizioni politiche perché una simile fusione proceda con successo».
La fusione alla pari con l’alleanza Renault-Nissan-Mitsubishi sembrava del tutto tramontata, tanto che sui giornali era fiorito il toto nomi per un “matrimonio” alternativo di Fca: con l’americana General Motors, la francese Citroen-Peugeot, la coreana Hyundai, la cinese Geely. La Renault, con una mossa a sorpresa, ha ripreso la “pratica” in mano e sta tentando di convincere le recalcitranti Nissan e Mitsubishi della bontà dell’operazione. Jean-Dominique Senard, convinto sostenitore della validità dell’intesa, si è detto «dispiaciuto» per il voto negativo dello Stato francese sull’integrazione nel consiglio di amministrazione. Il presidente del marchio francese ha sottolineato nell’assemblea generale a Parigi del gruppo automobilistico: la fusione è «un tema notevole ed eccezionale».
Le trattative fervono, si cerca di risolvere i contrasti. Da tempo i rapporti tra la Renault e le case giapponesi non sono idilliaci. I costruttori del Sol Levante si sentono discriminati dai francesi. La Renault (posseduta al 15% dal governo di Parigi) ha fatto il bello e il cattivo tempo facendo valere la proprietà del 43% delle azioni Nissan. Dispute industriali si sono sommate a brutte vicende giudiziarie (la magistratura di Tokio ha arrestato lo scorso novembre l’allora amministratore delegato di Renault Carlos Ghosn con le accuse di occultamento di compensi e illeciti finanziari). Adesso il governo francese e la casa del Diamante sembrano orientati a cambiare registro: Parigi taglierebbe la sua quota nella Renault, il marchio francese ridurrebbe il suo pacchetto azionario nella Nissan.
Sembrano tornare a prevalere gli interessi alla fusione Fca Renault. Renault-Nissan-Mitsubishi è forte sulla nuova frontiera dei motori elettrici ed ibridi (in particolare le competenze sono dei giapponesi). Fiat Chrysler Automobiles è invece indietro sull’elettrificazione ma ha una forte presenza sul mercato americano oltre che su quello europeo mentre l’eventuale partner ha una scarsa presenza negli Stati Uniti.
La possibile fusione creerebbe miliardi di euro di risparmi nelle sinergie prodotte negli investimenti e nella riduzione dei costi negli acquisti. Darebbe forma a un forte e competitivo gruppo europeo sul fronte delle nuove tecnologie elettriche (le batterie, il cuore delle nuove auto a zero inquinamento, sono un dominio delle case asiatiche e della statunitense Tesla).
La “fusione tra uguali” tra Renault e Fca proposta da Elkann darebbe vita al terzo produttore al mondo di macchine. Il “matrimonio” allargato a Nissan e Mitsubishi lancerebbe in pista il primo costruttore globale con enormi economie di scala. Sorpasserebbe i giganti Volkswagen, Toyota, General Motors. Ma l’imprevisto è sempre in agguato: nella fusione Fca Renault possono prevalere la miopia politica degli egoismi nazionali o delle diverse case automobilistiche. Emmanuel Macron è stato battuto nelle elezioni europee dalla sovranista Marine Le Pen ed è attentissimo al tema del “patriottismo industriale”. Il presidente europeista della Repubblica francese in questo caso fa i conti col “patriottismo dell’auto”. Chi comanda in caso di “matrimonio”?