Sono passati più di due anni e l’Alitalia, come nel gioco dell’Oca, torna sempre al punto di partenza: affidata a tre commissari straordinari, sempre in deficit e senza un futuro. Di rinvio in rinvio, siamo arrivati (il 15 giugno scorso) al quarto della serie.
Il prossimo “termine ultimo” per la chiusura della gestione straordinaria, e il passaggio a una nuova cordata di azionisti, è stato fissato al 15 luglio. Sembra difficile che in piena estate l’operazione possa andare in porto. Anche perché mancano ancora un partner e un piano industriale. Al momento, oltre allo Stato (Ferrovie dello Stato e Ministero dell’Economia) c’è solo l’americana Delta Airlines, che dovrebbe prendere una quota del 15 per cento. Quindi manca un quarto azionista in grado di coprire un 35-40 per cento di capitale.
Ma il problema della società aerea italiana era e resta quello di sempre: troppo grande per poter competere con le compagnie low cost e troppo piccola per potersi confrontare ad armi pari con i colossi europei dei cieli tipo Air France e Lufthansa.
Non è un caso se dalla liquidazione della compagnia di bandiera (2008) ad oggi sono falliti tutti i tentativi di rilancio. Così è stato con Cai, la “cordata patriottica” inventata da Berlusconi per privatizzare l’azienda. Così è stato con gli arabi di Ethiad che si sono subito arresi riconsegnandola allo Stato che ha fatto nuovamente ricorso all’amministrazione straordinaria iniettando 900 milioni di euro (il prestito ponte) per evitare la chiusura.
In oltre 11 anni il problema strutturale non è stato mai risolto e la dimostrazione è negli ultimi dati diffusi dall’Enac (Ente nazionale aviazione civile) nel suo rapporto annuale : «Il 2018 ha visto la conferma della crescita del traffico aereo in Italia: +5,8% rispetto al 2017. Ryanair è al primo posto con 184.810.849 passeggeri, mentre Alitalia si consolida nella prima posizione per quelli nazionali».
Ed eccoci al punto. La compagnia di bandiera «si consolida» nei voli nazionali, quelli che rendono meno, ma non ha la forza per incrementare i voli intercontinentali, quelli che tengono in piedi i bilanci, e perde posizioni – a favore di una low cost – perfino nel traffico “internazionale”, ossia nel medio raggio entro i confini europei e verso l’Africa.
E adesso? Adesso che il tesoretto del “prestito ponte” si sta esaurendo è già pronto un altro salvagente. Il Decreto crescita varato recentemente dal governo prevede la possibilità di utilizzare 650 milioni di risorse della Cassa per i servizi energetici ed ambientali per assicurare la «continuità del servizio aereo nazionale». Ma l’Autorità per l’energia (Arera) ha già messo le mani avanti con una “segnalazione” a governo e Parlamento in cui chiede di «evitare il ricorso a misure che dispongano il trasferimento diretto al bilancio dello Stato» di fondi della Cassa. In quanto una operazione del genere presenta una serie di rischi che alla fine «si ripercuoterebbero» sulle bollette della luce. E quindi sulle tasche di tutti noi.