Sangue. Tanto sangue e tanti omicidi. I protagonisti sono politici, giornalisti e funzionari di Montecitorio. Pino Pisicchio illustra in una conferenza stampa alla Camera Il Collezionista di Santini: «I personaggi sono veri, falsi e verosimili». Sono i protagonisti del suo giallo politico, Passigli Editore, ambientato nella XVII legislatura.
Il Collezionista di Santini parla del traumatico passaggio politico del 2013: quello dalla Seconda alla Terza Repubblica con l’affermazione dei nuovi partiti populisti, il M5S di Di Maio e la Lega di Salvini. Questa volta Pisicchio lascia da parte la strada del saggio politico o del manuale giuridico e torna ad imboccare quella del romanzo. Un primo giallo politico, Onorevoli Omicidi, lo dedicò al tragico crollo della Prima Repubblica sostituita dalla Seconda targata Berlusconi, Bossi, Prodi-D’Alema.
Vero e falso si mescolano nel libro per tratteggiare paure, crisi, speranze. La narrazione riguarda cinque anni: quelli dal 2013 al 2018. Nel 2018 non si ricandidò alla Camera contestando il dilettantismo, la povertà progettuale, la scarsa democrazia interna dei “partiti del leader”. Dal 1993 l’Italia ha avuto ben cinque diverse leggi elettorali per le politiche. Adesso c’è il Rosatellum ma è pieno di difetti e «va cambiato» soprattutto perché i cittadini non scelgono i parlamentari ma votano solo per i partiti.
Le pagine del giallo si snodano nell’aula, nelle commissioni, nel Transatlantico e nei corridoi di Montecitorio. Nelle vie e nelle piazze di Roma. Sono gli anni in cui Pisicchio, professore universitario e giornalista, è presidente del Gruppo Misto della Camera, un crocevia allora rilevante della politica italiana. Non a caso il Gruppo Misto diventò, nello sgretolamento dei partiti vecchi e nuovi, la terza aggregazione di Montecitorio per numero di deputati.
Nel Collezionista di Santini ci sono incontri, conciliabili, progetti. E, appunto, delitti più o meno eccellenti. È suicida un deputato candidato a guidare il partito di maggioranza, è fatto a brandelli un famoso anchorman, è massacrato per strada il vicepresidente della commissione parlamentare Antimafia. Lotte per il potere, misteri e delitti. Ancora sangue. Protagonisti sono due balordi, due giovani bene e una collezione di “santini elettorali”.
Già, i santini elettorali. Un tempo i candidati alla Camera e al Senato ne facevano un importante strumento della campagna elettorale: c’era la fotografia (in genere a mezzo busto) e, alle volte, uno slogan più o meno efficace. Pisicchio, veterano di infinite campagne elettorali, racconta episodi singolari. Su un santino di un candidato di Bari si leggeva: «Vota Finocchio. Uno di voi». L’autore commenta: «Lo slogan, accostato al suo cognome, aveva successo. Raccoglieva sempre una valanga di voti anche se Bari non è certo una città dalle vedute scandinave! Ancora è consigliere comunale a Bari».
Chi è l’omicida? Pisicchio si rifiuta di fare il nome dell’assassino perché altrimenti «non vendo il libro». Analogo silenzio c’è sul significato del titolo del giallo: Il Collezionista di Santini. Si limita ad osservare: «Anche tra i collezionisti di santini elettorali si spendono somme enormi. C’è un mercato florido di collezionismo». Fa un esempio: «Avere un Andreotti del 1953 è come possedere un francobollo rarissimo: il Gronchi Rosa».
Occorrerà leggere il libro per capire chi e perché uccide. Per sapere chi sono le vittime, in particolare quella candidata a guidare il maggiore partito di maggioranza. Nel giallo indagano un deputato, una giornalista parlamentare e un commissario, da giovane indiano metropolitano. Pisicchio, comunque, una cosa la dice: «Quando Renzi usciva di corsa dall’aula della Camera ed entrava nel Transatlantico era inseguito da stuoli di deputati e di giornalisti. I primi volevano essere ricandidati e i secondi cercavano disperatamente uno scoop».
Nella realtà si sa come è andata a finire. Matteo Renzi alla fine ha perso sia la presidenza del Consiglio sia la segreteria del Pd dopo le disfatte al referendum sulla riforma costituzionale e alle elezioni politiche del 2018. Si poneva come l’argine riformista a Di Maio e Salvini, invece il fiume sovranista e populista l’ha travolto.