Il 15 luglio è passato. Era l’ultimo termine fissato per le offerte d’acquisto e il cosiddetto “salvataggio” dell’Alitalia. Il ministro Di Maio aveva detto di considerare “inderogabile” il termine del 15 luglio, escludendo l’ennesima proroga dei commissari e dell’amministrazione straordinaria.
Le offerte per la quota mancante (circa il 40 per cento) per chiudere la cordata azionaria formata da Ferrovie dello Stato, ministero dell’Economia, e dalla compagnia aerea Usa Delta sono arrivate. Quattro. C’è quella impossibile del patron della Lazio Claudio Lotito, quella del costruttore abruzzese Toto, della società aerea colombiana Avianca. Infine, la famiglia Benetton con Atlantia, che ha dato mandato formale all’amministratore delegato Castellucci e su cui è caduta la scelta del consiglio di amministrazione delle Fs.
Il problema è che non siamo di fronte a “offerte vincolanti”, ma solo a “manifestazioni di interesse”. Tradotto in termini meno tecnici e più comprensibili, significa che la gestione commissariale continua. In attesa della offerta vincolante del colosso autostradale e del nuovo piano industriale.
A voler pensare male, questa proroga di fatto dei commissari, sembra fatta apposta per Atlantia, il vero convitato di pietra. Il solo candidato in grado di farsi carico di quel 40 per cento che manca alla nuova società che rileverà l’ex compagnia nazionale di bandiera.
E il nodo, al di là delle dichiarazioni ufficiali di Di Maio, resta quello delle concessioni autostradali. Atlantia, che è la più grande società mondiale del settore, viene messa nel mirino dai Cinquestelle dopo il crollo del ponte Morandi. Di Maio e Toninelli vogliono la revoca delle concessioni autostradali italiane di Atlantia. Ancora poche settimane fa Di Maio conferma l’iniziativa della revoca aggiungendo che senza la rete italiana la società dei Benetton è un’azienda “decotta”.
Intanto la situazione Alitalia si complica, la compagnia continua a volare in perdita, il prestito ponte di 900 milioni concesso dallo Stato va esaurendosi e non si trovano azionisti privati. In campo è rimasta solo l’americana Delta che comunque non andrebbe oltre il 15 per cento. Il resto dell’azionariato è tutto pubblico. Le Fs come capogruppo con il 35 per cento e il Mif con il 15 che sarebbe poi il risultato della conversione dei 900 milioni del prestito ponte.
Mentre crescono i rumors su un arrivo di Atlantia come cavaliere bianco, i Benetton smentiscono, mentre Di Maio rivede la sua posizione sull’azienda “decotta”, dichiarando di non avere nulla in contrario a un suo eventuale ingresso in Alitalia, ma che questo non avrebbe nulla a che vedere con l’iter di revoca della concessione che è stato avviato e continua: «Sono due piani diversi».
Quello che Di Maio non dice è che un “iter” per la revoca di una concessione di tale portata può durare anni. E molto sarà legato all’atteggiamento dello Stato nel corso d’una battaglia burocratica tanto complicata.
Ma il problema dell’Alitalia non dipende dall’arrivo dei 300-400 milioni iniettati da Atlantia. Il suo problema è strutturale. Una compagnia regionale che ormai controlla solo l’otto per cento del traffico aereo da e per l’Italia ma che mantiene struttura e costi di una grande società aerea. Secondo i dati ufficiali, la perdita, solo quella operativa, è stata nel 2018 di 154 milioni di euro.