Confermando di essere un politico abile e spregiudicato, Matteo Salvini ha fatto la classica “mossa del cavallo”. La rottura della coalizione di governo e la richiesta di elezioni anticipate, con un Parlamento già chiuso per ferie, ha spiazzato tutti mettendo in difficoltà gli avversari che, per una ragione o per un’altra, avrebbero preferito evitare un’elezione anticipata adesso.
Con i Cinquestelle nel caos e in caduta libera secondo tutti i sondaggi, il Pd spaccato in due come una mela tra renziani e non, Forza Italia in via di estinzione, il leader leghista ha deciso che era arrivato il momento di rischiare il tutto per tutto e giocarsi la partita della presa del potere in solitario nel momento a lui più favorevole.
E l’occasione gli è stata fornita su un piatto d’argento da Luigi Di Maio con la sceneggiata della mozione anti-Tav presentata mercoledì 7 agosto al Senato. A questo punto Salvini poteva tranquillamente limitarsi a chiedere, come poi ha fatto, un rimpasto di governo per far fuori il ministro Toninelli e indebolire ulteriormente Di Maio, ormai nell’angolo e disposto a tutto pur di evitare il Ko. D’altra parte la mozione contro la Torino-Lione si era già rivelata un grande errore politico, perché il movimento anti-Tav l’aveva giudicata una presa in giro ed era tornato sul sentiero di guerra manifestando contro i “traditori” del M5S.
Invece Salvini, dopo aver essere andato dal premier Conte a chiedere il rimpasto di governo, ha tenuto tutti con il fiato sospeso per 24 ore, con Di Maio ridotto al silenzio e ormai disposto a pagare qualsiasi prezzo. Poi, all’improvviso, ha deciso di far saltare il banco e aprire la crisi. Senza nemmeno il bisogno di una riunione di segreteria, di un atto formale del partito. Ha deciso e basta, forte dell’appoggio dei governatori leghisti del Nord che poi sono i veri grandi azionisti della Lega di oggi.
Dietro la “mossa del cavallo” di Salvini, ci sono stati anche calcoli d’altro tipo. Diciamo così, personali. Da leader leghista ha evitato qualsiasi imbarazzante confronto parlamentare sui presunti finanziamenti di Putin, da vicepremier ha evitato qualsiasi corresponsabilità in una legge di Bilancio che si presentava molto complicata e che non rendeva possibili gli sforamenti previsti dalla flat tax.
E adesso? Adesso la palla passa al presidente della Repubblica. L’ipotesi più probabile è quella del proseguimento dell’attuale governo per la gestione ordinaria fino al giorno delle elezioni. Ma c’è un problema rappresentato ancora una volta da Salvini e dai suoi troppi ruoli: vicepremier e ministro dell’Interno, leader di partito e candidato premier. Come responsabile del Viminale, a cui spetta la gestione delle elezioni in funzione di arbitro, è in evidente conflitto d’interesse con il ruolo di candidato premier e giocatore in campo. Per il capo dello Stato sarà un’altra gatta da pelare.