Giuseppe Conte, un po’ e un po’. Il mago Conte concilia tutto, anche gli opposti. Sperimenta la formula delle sfide impossibili. Dalla guida del governo populista grillo-leghista a quella dell’esecutivo riformista grillo-democratico. Ricorda un po’ i record di Giulio Andreotti, uno dei cavalli di razza della Dc: sette volte presidente del Consiglio, guidò governi centristi (con liberali, repubblicani, socialdemocratici), di centro-sinistra (con i socialisti), di unità nazionale (con i comunisti).
Il mago Conte certo non riesce ancora a eguagliare Andreotti ma è sulla buona strada nel cercare di conciliare le diversità, gli opposti inconcibiabili. La difesa della centralità del Parlamento e il suo accantonamento nella diretta Facebook nella quale ha invitato i militanti cinquestelle a votare per il governo M5S-Pd sulla piattaforma Rousseau.
Dai proclami superpartes («Non sono iscritto al Movimento, non partecipo ai loro vertici») ai comportamenti da capo politico pentastellato (mentre si appanna la stella di Di Maio) con l’appello ai grillini a non lasciare «i sogni» di cambiamento nel cassetto, votando sì al governo col Pd. Dalle mediazioni per superare i contrasti tra Di Maio e Salvini a quelle per mettere d’accordo, sempre Di Maio ma con Zingaretti. Dalla guida del «governo del cambiamento» con la Lega alla direzione di quello «nel segno della novità» con il centro-sinistra (Pd più Liberi e Uguali). ). Propugna il rispetto delle regole istituzionali ma candida Paolo Gentiloni a commissario europeo prima di ottenere la fiducia del Parlamento.
Conte è un mago, è abile. Quindici mesi fa ha permesso la nascita del governo giallo-verde divenendo presidente del Consiglio (Di Maio e Salvini ambivano all’incarico ma si sono elisi a vicenda), adesso (su spinta di Beppe Grillo) resta a Palazzo Chigi salvando il M5S dal possibile flop nelle elezioni politiche anticipate chieste con forza dal segretario della Lega.
Il presidente del Consiglio da «mero esecutore» delle decisioni di Salvini e Di Maio, gli uomini forti del ministero grillo-leghista, ha acquistato un forte ruolo autonomo scongiurando la procedura d’infrazione europea per i malandati conti pubblici italiani. Un successo difficile, doppiamente rilevante perché Bruxelles vedeva come il fumo negli occhi l’esecutivo populista e sovranista con il Carroccio (un giorno sì e l’altro pure partiva un attacco alla Ue di Salvini e, in misura minore, da Di Maio).
Ora il mago Conte prepara un altro colpo, molto più ambizioso: la riforma delle regole alla base dell’euro: «Mi piacerebbe molto che l’Italia possa dare un contributo critico per adeguare il Patto di stabilità al nuovo clima economico». La frase diplomatica racchiude un progetto titanico: cambiare i parametri della moneta unica europea, in testa il fatale 3%, il numero magico del rapporto tra deficit pubblico e reddito nazionale, il rigido limite imposto all’aumento del disavanzo. Il progetto è enunciato (sempre in termini molto prudenti) al punto 2 delle 29 “linee programmatiche” dell’esecutivo giallo-rosso: è necessario «superare l’eccessiva rigidità dei vincoli europei».
L’obiettivo del presidente del Consiglio è cancellare il dogma del rigore finanziario e di canalizzare ingenti somme in investimenti pubblici, anche in deficit, per sostenere la crescita economica e l’occupazione in settori vitali (dall’istruzione alle nuove tecnologie digitali, dall’ambiente ai servizi pubblici). Tutto ciò senza dimenticare il taglio delle tasse. Un progetto una volta impensabile ma adesso possibile perché la Germania, finora sacerdote della severità finanziaria, è in affanno, è afflitta da una debole crescita economica che rischia di scivolare nella recessione.
Quando il mago Conte parla del «nuovo clima economico» si riferisce ai timori di Germania e Francia per la recessione e per la diffusione del sovranismo in Europa. Il primo settembre l’estrema destra nazionalista, razzista, anti Europa ha vinto le elezioni in Brandeburgo e in Sassonia, due regioni chiave della Germania orientale. Angela Merkel ha tutto l’interesse ad effettuare grandi investimenti pubblici per combattere la crisi e affrontare il disagio sociale.