A poco più di un anno dalle presidenziali americane dell’anno prossimo, Donald Trump non è sicuro di poter fare il bis del 2016, conquistando il suo secondo mandato alla Casa Bianca. Il tycon, salvo clamorose sorprese, rappresenterà ancora una volta quel Partito Repubblicano che non lo ha mai amato e giocherà ancora una volta a “uno contro tutti”. Ma la partita si presenta difficile. Tutti i sondaggi lo danno perdente contro l’ex vice di Obama Joe Biden, che dovrebbe essere il candidato dei Democratici, e in forte difficoltà perfino contro il radicale Sanders.
Certo, azzardare adesso previsioni per elezioni che si svolgeranno a novembre del 2020 è rischioso, anche perché Trump è un osso duro che ci ha abituato alle sorprese. Non a caso i bookmakers continuano a darlo come vincente pure alle prossime presidenziali.
Ma la sua popolarità, al di là dei successi ottenuti sul piano economico, è in calo evidente. Perché, come tutti i populisti è abilissimo nella propaganda, ma ha ampiamente dimostrato di non saper reggere alla prova di governo. Insomma, di non sapere affrontare e risolvere problemi complessi che toccano sul vivo milioni di cittadini, basti leggere la lista dei collaboratori che ha licenziato in questi tre anni, dove il consigliere per la Sicurezza John Bolton, appena defenestrato, è solo l’ultimo nome di un elenco interminabile.
Ma il vero problema di Trump è che i suoi tweet postati a raffica su Internet non tengono conto del mondo reale, delle differenze economiche e sociali che esistono nell’Unione e persino all’interno dei singoli Stati, dove la popolazione spesso è molto segmentata.
Per avere un’idea di questo muro contro cui l’anno prossimo potrebbe infrangersi il sogno di riconferma dell’inquilino della Casa Bianca basta andare nel Nord Ovest degli Usa, in quel Michigan che rischia adesso di diventare il suo Vietnam, ma che nel 2016 i sondaggi segnalavano come uno Stato in bilico. Non a caso Trump concluse la sua campagna elettorale proprio qui. Aveva visto giusto, perché poi in Michigan riuscì a battere Hillary Clinton per un soffio (47,6 per cento contro 47,3) portando a casa i 16 grandi elettori che insieme a quelli della Florida gli diedero la vittoria.
Ma solo due anni dopo, alle elezioni di mezzo termine del 2018, il vento era già cambiato. Il democratico Gretcher Whinter diventava governatore dello Stato con il 53 per cento, staccando di ben nove punti il candidato repubblicano, e la trentaseienne Haley Stevens veniva eletta alla Camera dei rappresentanti insieme alle tante “matricole rosa” che hanno restituito la maggioranza parlamentare al Partito Democratico.
Già perché il Michigan non è solo Detroit, l’ex capitale dell’auto, dove la violenza è una realtà e la propaganda antimmigrati può far presa in alcuni strati. Il Michigan è anche Grand Rapids, che poi è la seconda città più popolosa dello Stato. Qui la violenza non esiste e l’immigrazione non è il problema numero uno.
Tra Grand Rapids e Sleeping Bears trovi l’America che non ti aspetti: quartieri con strade pulitissime, prati perfettamente curati, case con le sedie sul prato pieno di fiori, porte e finestre senza sbarre. La vita tranquilla di una borghesia piccola e media che Trump, presidente-populista senza un vero e articolato programma di governo, non riesce a intercettare più con i suoi tweet.
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