Lo zero deficit è un tabù terribile, la Germania arranca. Alla fine Angela Merkel scommette sull’economia verde per rilanciare la crescita e l’occupazione. Calano le esportazioni, la produzione industriale e la fiducia. Scende il reddito nazionale causando la stagnazione economica (nel 2019 il Pil tedesco potrebbe salire solo tra +0,4% e +0,2%), così la Repubblica federale tedesca punta sull’economia verde per scongiurare la recessione.
La Germania non è una eccezione. Tutta l’Europa (in testa l’Italia) rischia di finire risucchiata nella nuova recessione economica, per questo Mario Draghi ha deciso un secondo colpo di “bazooka”. Il presidente della Bce, quasi a fine mandato, il 12 settembre ha fatto passare a maggioranza la sua linea espansiva di tenere bassi i tassi d’interesse e di riprendere da novembre il piano di allentamento monetario (Quantitative easing) che prevede l’acquisto di 20 miliardi di titoli al mese. Il primo colpo di “bazooka”, il precedente piano in funzione dal 2016 al 2018, ha permesso l’acquisto di titoli del debito pubblico di Eurolandia per 2.200 miliardi. Ha ridato fiato all’economia e salvato l’euro.
Questa volta, però, potrebbe non bastare ad evitare la recessione. Draghi ha anche sollecitato i governi dell’Unione europea a spendere («ad avere adeguate politiche fiscali»); un invito rivolto soprattutto a Berlino, forte di un florido bilancio pubblico.
Tuttavia all’inizio non ha ricevuto segnali positivi dalla Germania. Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, ha attaccato Draghi con toni inusuali per il paludato linguaggio di primo banchiere tedesco: «Ha oltrepassato il limite».
Molto più disponibile, alla fine, è stata Angela Merkel. La cancelliera tedesca ha dato il disco verde a un accordo con la Spd per un maxi piano d’investimenti di 100 miliardi di euro in favore dell’ambiente entro il 2030: «Oggi non viviamo in modo sostenibile». Il testo dell’intesa del 21 settembre tra cristianodemocratici e socialdemocratici ha precisato gli obiettivi: le risorse saranno investite «per la protezione del clima e la transizione energetica». Il ministro socialdemocratico delle Finanze Olaf Scholz ha delineato i tempi del piano di riconversione all’economia verde: il governo prevede di spendere 54 miliardi di euro entro il 2023.
Occorre fare presto. Con la guerra dei dazi contro la Cina praticata da un anno da Donald Trump, sono cominciati i guai, è andato in crisi il modello dell’economia tedesca basato sulle esportazioni e sull’industria manifatturiera. I contraccolpi sono piovuti soprattutto sulle regioni deboli della Germania orientale. La disoccupazione e l’insicurezza sociale (assieme al no all’immigrazione) sono stati cavalcati dall’estrema destra sovranista di Alternativa per la Germania (Afd) che il primo settembre ha vinto le elezioni in Brandeburgo e in Sassonia con circa il 25% dei voti.
Il 27 ottobre si voterà in Turingia, un altro importante lander della ex Germania comunista, e si potrebbe ripetere il successo dell’estrema destra sovranista, populista e razzista. È una china pericolosa per la grande coalizione (Cdu-Csu con la Spd) che governa la Germania da anni, perdendo una valanga di consensi ad ogni appuntamento elettorale soprattutto nell’est del paese, quello delle aree sottosviluppate ed allarmate dalla crisi.
La Merkel ora ha rotto gli indugi, ha ascoltato in parte Draghi e ha messo mano al portafogli: gli investimenti nell’ambiente (energie rinnovabili e ferrovie) per combattere l’inquinamento e l’aumento delle temperature daranno impulso all’industria verde, alle nuove tecnologie e all’occupazione. La cancelliera scommette sulla virtù della tutela dell’ambiente però resta la mela avvelenata dello zero deficit. Così le risorse per gli investimenti in gran parte saranno reperite con un aumento delle tasse, in particolare sull’energia. E, salvo imprevisti, non ci saranno spese supplementari nel bilancio europeo. La Merkel ha scelto questa strada accidentata per battere l’estrema destra populista. Non è detto che funzionerà, poteva fare di più.