Trentasette anni? Sono già passati tren-ta-set-te anni da quell’ultimo numero in edicola? Se la matematica non è un’opinione dal 1982 sono trascorsi ben trentasette anni. E BEN quarantadue dal primo numero…
Si parla di un settimanale che ha fatto storia. Magari non come Il Mondo di Mario Pannunzio, come l’Espresso di Arrigo Benedetti, Il Borghese di Leo Longanesi, Il Candido di Giovannino Guareschi, La settimana Incom o il Panorama di Lamberto Sechi; ma un piccolo spazio se lo è comunque conquistato; e ha rivoluzionato il modo di fare satira, di sorridere e di ridere, ha influenzato giornali e riviste, è stato senza troppa fortuna imitato…
Insomma, si parla del Male, mitico settimanale che chi oggi ha i capelli grigi (o non li ha affatto), ricorderà con un misto di nostalgia e di piacere. Magari in qualche soffitta un padre o uno zio qualche numero lo conserva ancora…
Al Male è dedicata – meritoria iniziativa – una mostra, appunto Gli anni del Male 1978-1982 (a Roma, dal 26 ottobre al 6 gennaio).
Premuroso, il cartoncino di invito spiega che «l‘esposizione, promossa dalla Regione Lazio e organizzata da Manafilm srl in collaborazione con LAZIOcrea», si deve alla cura di «Angelo Pasquini, Mario Canale, Giovanna Caronia e Carlo Zaccagnini in collaborazione con Vincino Gallo…ha ottenuto il patrocinio della Federazione Nazionale della Stampa Italiana ed è stata realizzata in collaborazione con Rai Teche, Luce Cinecittà e Radio Radicale».
Fin qui le “doverose” citazioni di quanti hanno permesso l’evento. La presentazione, ora: Il Male è stato la quintessenza del giornale cartaceo; coloratissimo, smontabile e rimontabile a seconda degli usi che venivano suggeriti ai lettori e ai giornalai (il più famoso era la metamorfosi in un altro giornale di cui veniva falsificata la testata).
Un giornale da esposizione, che i giornalai appendevano nelle edicole e che i lettori mettevano in mostra per far cadere gli amici nella trappola dell’evento falso architettato dalla redazione. Un giornale realizzato da uno straordinario gruppo di autori: da Andrea Pazienza a Vincino, da Sergio Angese a Roberto Perini, da Jacopo Fo a Tanino Liberatore, da Stefano Tamburini a Carlo Cagni, da Enzo Sferra a Filippo Scozzari, da Jiga Melik a Piero Lo Sardo, da Sergio Saviane a Vincenzo Sparagna, da Giuliano Rossetti a Alain Denis, Francesco Cascioli e Bruno D’Alfonso. È stato anche lo specchio di un’epoca straordinaria per l’Italia, un’epoca di grande creatività ma allo stesso tempo di eventi terribili che hanno segnato il lavoro satirico del giornale: gli Anni di piombo tra le BR e l’omicidio Moro, il terrorismo nero, gli attentati, gli omicidi di stato, il delitto Pecorelli, la mafia, Andreotti, Sindona, Ambrosoli e la P2.
Perchè quel settimanale ha fatto epoca e viene, da chi ha vissuto quegli anni, ricordato ancora con una punta di nostalgia? Perchè «quei falsi dissacranti, assieme a disegni per l’epoca altrettanto scandalosi, hanno reso famoso il giornale, ma hanno causato anche denunce e processi: il Male è stato forse il periodico più denunciato e sequestrato dal dopoguerra».
Ecco: a questo punto il discorso da oggettivo si fa soggettivo: chi scrive, caro lettore, del Male è stato uno dei direttori responsabili; per quella direzione, durata cinque o sei mesi, ha messo insieme una collezione di circa una settantina tra denunce e querele; e un arresto della durata di sei giorni. In cambio (un cambio vantaggiosissimo), due inossidabili amicizie: con Pino Zac e Vincino (Vincenzo Gallo).
Ricordando l’uno e l’altro, caro lettore, ti parlerò anche del Male, dal mio punto di vista.
Vincino: palermitano visceralmente innamorato della sua città, della sua Sicilia, e anche di questo paese. Un artista della matita e del pennarello. Il suo tratto apparentemente infantile, quasi uno scarabocchio, è invece raffinatissimo, nel tratto; un colpo di fioretto e di sciabola insieme: irresistibile e imbattibile nel saper cogliere, attraverso il particolare, la sfumatura, il ‘tutto’ e la sua essenza. Non era ‘solo’ disegno, sberleffo e gentile irrisione capace di fulminarti con due rapidi schizzi.
Caro lettore: Vincino, è stato compagno di Male/fatte memorabili. Disegna per l’Ora, il quotidiano di sinistra siciliano che ha scritto pagine memorabili della storia dell’antimafia, quella vera. Poi passa a Lotta Continua, se la ride di tutti e di tutto, anche di alcuni suoi seriosissimi compagni, e mette in piedi L’Avventurista, un inserto satirico che leva il pelo a chiunque abbia la sventura di capitare a tiro; ma è con Pino Zac, geniale pazzo della matita, che scrive un pezzo importante della storia del giornalismo italiano: di cui ho fatto cenno; un hellzapoppin’ di trovate surreali e geniali…
Caro lettore: te lo ricordi il famoso ‘falso’ dove si riproducono perfettamente false pagine di Repubblica, del Paese Sera, della Stampa, e si dà l’annuncio che finalmente si è catturato il Grande Vecchio, il vero capo delle Brigate Rosse? L’ispettore di polizia è impersonato da quell’eterno burlone di Sergio Saviane; il poliziotto è lui, Vincino; e tutti e due mettono le manette ai polsi a Ugo Tognazzi, che si presta al gioco… Ora da qualche parte, magari con Luciano Salce, Paolo Villaggio, Bonvi e altri mattacchioni, chissà cosa che cosa architettano… Di certo continueranno i loro scherzi, i loro lazzi, magari in compagnia di un altro scavezzacollo: quel Wolinski ucciso dal fanatismo islamista a Parigi nella redazione di quella versione d’oltralpe del Male che era (e ancora è) Charlie Hebdo: e non ci sarà ‘santo’ che sarà al riparo dalle loro ‘zingarate’…
Caro lettore: in quegli anni un magistrato veneto che ogni mercoledì, preventivamente, sequestrava il Male, ‘colpevole’ di una vignetta irrispettosa, di una battuta poco corretta. Al quinto o sesto sequestro, la reazione: si organizza una diffusione ‘militante’ davanti a palazzo Chigi; arrivano i poliziotti del vicino primo distretto, quel giorno non hanno voglia di scherzare; scatta l’arresto per oltraggio e resistenza. Non c’è né l’uno né l’altro, al processo l’insussistenza delle accuse sono riconosciute. Intanto sette giorni a Regina Coeli ce li regalano.
Caro lettore: vado avanti coi ricordi. Quella direzione del Male mi procura decine e decine di denunce e querele, tutte balorde; per dire: accusato di divulgazione di segreto militare per aver pubblicato la cartina dell’isola La Maddalena ricavata dall’enciclopedia alla Biblioteca Nazionale… Reati così, se ne prende uno dal codice e te lo trovi appioppato; poi vieni assolto, o archiviano il procedimento; ma intanto il fastidio, l’avere un certificato dei carichi pendenti lungo una quaresima e degno del pericolo pubblico numero 1… Una volta, per uno sberleffo a un magistrato il tribunale di Orvieto prima, di Perugia poi, pensa bene di emettere una condanna a due anni e sei mesi senza condizionale. La Cassazione ci mette poi una toppa ma solo perché si monta una campagna stampa, e qualcuno capisce che due anni e sei mesi di carcere per una vignetta, sia pure nei confronti di un magistrato, è qualcosa di abnorme. Ma in pochi hanno il coraggio di dire che si esagera: Oreste del Buono, Giorgio Forattini, Giampiero Mughini, Indro Montanelli, Marco Pannella, Salvatore Sechi…Per il resto, silenzio, indifferenza…
Caro lettore, vedi, allora (ma forse anche ora), a scherzare coi santi e coi magistrati si rischiava qualcosa; la satira, allora (ma forse anche ora) la si vedeva con sospetto; allora (ma anche ora) si ‘sparavano’ querele e denunce per intimidire e tappare la bocca…
Caro Lettore: riguardo la montagna dei disegni di Vincino, quelli di Pino, di Andrea Pazienza, e di altri: rido e piango insieme…maledizione! Ma che fretta avete avuto ad andarvene così presto, che fretta avete avuto tutti, c’è ancora tanto da sbertucciare, tanti potenti impotenti prepotenti arroganti da mettere alla berlina…; e voi ve ne siete andati tra il lusco e il brusco, e ci avete lasciato qui, da soli…
Con Pino tutto comincia con una telefonata.
«Pronto?!…Sono Pino!».
Pino chi?
«Come Pino chi? Stronzone…!».
Ah! Sei Pino. Ma lo sai che ore sono?
«Perché, dormivi?».
Figurati…alle tre del mattino aspettavo giusto una tua telefonata…
«Smettila di lamentarti, mi servono i tuoi dati…».
Quali dati?
«Tutti. I tuoi, il numero di conto bancario, l’indirizzo…».
Non è che voglio farmi i fatti miei, ma perché te li devo dare?
«Li vuoi o no, i soldi?».
Quali soldi, Pino? E alle tre del mattino? Non andava bene alle sette?
«Alle sette sono già in viaggio per Bruxelles. Noi qui si lavora, che ti credi?».
Noi chi, che parli parli e non dici nulla…
«Allora, signorino, ti sto chiamando da Parigi…Pa-ri-gi…Redazione del Ca-na-ard-En-cha-i-né…compris?»
Oui, je compris, va al diavolo…
«Ci vado con i tuoi cinquecento franchi, se vuoi…».
Cinquecento…?
«Sì, i primi cinquecento franchi, da parte del Canard Enchainé. Allora me li dai questi dati o no?».
Così, per un paio d’anni, uno spiantato giornalista diventa un collaboratore del Canard: si, proprio quel settimanale con le paperelle per simbolo, che aveva messo sulla graticola Giscard Valéry d’Estaing per via dei diamanti di Bokassa, e ogni settimana mette alla berlina qualcuno, Georges Marchais, François Mitterrand o George Pompidou; ai bei tempi anche Charles De Gaulle che gliela fa pagare, ma loro imperterriti, irriverenti, diabolici, vanno avanti.
Il mio amico Pino Zac lavora con quella banda di matti: anche lui inconfondibile nel tratto, raffinatissimo; uno che fa concorrenza a quell’Aretino a cui Paolo Giovio dedica i famosi versi: «Qui giace l’Aretin, poeta Tosco, che d’ognun disse mal, fuorché di Cristo, scusandosi col dir: Non lo conosco».
Una vera fortuna di conoscerlo, frequentarlo, essergli amico: abruzzese doc, come si sentiva, anche se nato per sbaglio a Trapani. Con lui, l’avventura del primo “Male” e poi l’Anamorfico; ho la casa piena dei suoi “scarabocchi”, ogni volta erano cene interminabili dove ti costringe a mangiare enormi bistecche al sangue e mezze bottiglie di vino per lui nettare divino, per me qualcosa di simile all’aceto…Ma queste sono altre storie.
Per tornare alla telefonata notturna, benedetta mille volte: contribusce a risolvere i miei quotidiani problemi alimentari di allora. A quei tempi c’era ancora l’Unione Sovietica: quella tetra, cupa, di Breznev, di Cernenko, il comunismo vero, insomma; e i dissidenti: quelli che si battono per la libertà; vogliono scrivere, dipingere, andare in chiesa, poter parlare e dire quello che vogliono, e viaggiare, leggere le cose proibite. Gente pericolosa, insomma. Il regime spedisce in Siberia, dove ci sono i gulag.
In uno di quei gulag c’è un dissidente di cui si è persa completamente memoria, qualche traccia è rimasta in una polverosa rivista mensile francese, L’Alternative, pubblicata da un geniale editore trotskista, François Maspero (Maspero è morto anni fa, e con lui rivista).
Quel dissidente di cui nessuno sa niente e di cui nessuno parla, si chiama Jiri Kukk: un pope ostinato, vuole celebrar messa e pregare il suo Dio in pace; una pretesa inaccettabile: via: al gulag. Quello si appella alle leggi, chiede il rispetto di quello che prevedono e garantiscono compresa la libertà di culto. I suoi aguzzini se ne fottono, lui duro, pianta uno sciopero della fame. Una settimana, un mese, ancora un altro mese…arriva a novanta giorni, e ci lascia le penne. Sulla sua storia scrivo un articolo, pubblicato dal Corriere della Sera. Una copia del giornale capita tra le mani di Bernard Thomas, che ogni settimana scrive una colonna sul Canard. Thomas conosce l’italiano, ma non bene. Vede l’articolo, ne viene colpito, la storia non la conosce, la riprende per la sua colonna. Preso da uno scrupolo, teme di non aver tradotto bene una frase, la passa al “macaroni”, Pino appunto: «Ehi, Pinò, mi traduci questo?», gli allunga la pagina del Corriere. Pino legge: «Ma questo lo conosco, è un amico mio. La notizia la prendi, ma gliela paghiamo…».
Così comincia la mia storia al Canard. Mi chiedono altre notizie e storie sui dissidenti dell’Est e il Vaticano (sono molto anticlericali). Così comincia anche il sodalizio di lavoro con Pino, che fonda I quaderni del Sale, antesignano del Male.
Poi, come tutto, la cosa un giorno è finita: quando il grande cuore di Pino decide che vuole andare in pensione, stanco di quel continuo (e faticoso) Fontecchio-Roma-Parigi-Bruxelles e ritorno ogni settimana; stanco di quel continuo disegnare, di quell’ottimo vino che per me era quasi aceto, e di tutta quella carne rossa che dicono non faccia bene a chi ha problemi di cuore e di pressione…
Vincino, Pino Zac: fantastiche amicizie, per dirla con René Char, «in tempi di monti furenti». E, naturalmente, fantastici quei giorni del Male. Tutti sanno raccontare “fantasie” come fossero vere. Il Male raccontava cose vere che sembravano “fantasie”.