Strano, stranissimo. Giuseppe Conte deve guardarsi prima dalla “guerra interna” Renzi-Zingaretti e poi dalla “guerra esterna” di Salvini. Il governo giallo-rosso tuttavia vacilla soprattutto per le bordate sparate da Renzi contro il presidente del Consiglio e il segretario del Pd, fino a settembre ancora il suo segretario di partito.
L’armistizio Renzi-Zingaretti è durato pochissimo: la “guerra” tra il segretario democratico e il suo predecessore è partita quasi subito. Renzi ha scelto soprattutto le tasse in chiave ecologista proposte dai cinquestelle per sparare contro Conte e contro Zingaretti, i suoi alleati di governo. L’intervista del leader di Italia Viva al Messaggero è stata una bomba: le tasse sulla plastica monouso, sulle auto aziendali e sulle bevande zuccherine sono una «inspiegabile mazzata alla classe media». Renzi è uscito dal cono d’ombra e ha riconquistato visibilità mediatica e centralità politica. Ha confermato il sostegno al governo, ma non ha escluso la crisi e la nascita di un altro esecutivo: la legislatura durerà sicuramente fino al 2023 perché i numeri ci sono, se con o senza Conte «dipende da come funziona il governo».
Conte, Di Maio e Zingaretti non l’hanno presa bene. Non l’ha presa bene soprattutto il terzo. Il segretario del Pd sperava di intercettare i voti in uscita dai cinquestelle in crisi, invece deve guardarsi dall’autore della scissione di Italia Viva alla conquista del ceto medio. Non ci sta a vedersi dipinto come a capo del “partito delle tasse”. Ha caricato a testa bassa: quella di Renzi è «una operazione di basso livello», così non si batte né Salvini né il centro-destra. È pronto anche alla crisi se il governo è paralizzato dai contrasti perché «non si può governare insieme da nemici». E questo è un avvertimento che vale anche per Di Maio per gli “strappi ecologisti” (dalle tasse sulla plastica all’eliminazione dello scudo penale per l’ex Ilva) in rotta di collisione con crescita e occupazione industriale.
Il primo tempo dello scontro se l’è aggiudicato Renzi. Dopo infiniti e lunghi vertici a Palazzo Chigi, il governo M5S-Pd-Italia Viva-Leu ha deciso il dietrofront: nella manovra economica 2020 all’esame del Parlamento si va verso la cancellazione, la riduzione, la sospensione dell’innalzamento delle imposte. Calando le risorse a disposizione sarebbe ridotto e rinviato, invece, il cosiddetto cuneo fiscale cavallo di battaglia di Zingaretti, cioè il bonus di circa 40 euro al mese per i lavoratori dipendenti fino a 35 mila euro l’anno.
Il segretario e l’ex segretario del Pd sono d’accordo praticamente solo su un punto: ripristinare lo scudo penale osteggiato dai grillini per il gruppo Arcelor Mittal alla ex Ilva di Taranto con un emendamento al decreto fiscale, così cercando di scongiurare l’abbandono del centro siderurgico più grande d’Europa da parte della multinazionale dell’acciaio.
Renzi-Zingaretti, è scontro continuo. Il leader di Italia Viva vuole mietere consensi tra i cittadini tartassati dal fisco: «La priorità è fare un partito ‘No Tax’». Sarebbe un colpo mortale per Zingaretti. Ha già fatto capire: se i contrasti saranno insanabili meglio la crisi e le elezioni politiche anticipate. La stessa posizione di Salvini. Il segretario della Lega da agosto, da quando fece cadere il governo giallo-verde, chiede il voto anticipato contro l’esecutivo «delle tasse, degli sbarchi e delle manette».