Basta con l’odio. Avanti con la felicità, con la rifondazione del Pd. L’Italia torni «ad essere felice». Nicola Zingaretti fa il kennediano stile Walter Veltroni, il fondatore e primo segretario del Partito democratico.
Non a caso la tre giorni di riflessione e di proposte organizzata a Bologna per la rifondazione del Pd segue il viaggio di Zingaretti negli Stati Uniti nel quale ha incontrato esponenti democratici americani. Non a caso ha scelto di parlare al suo popolo da Bologna, il cuore della tradizione e del potere del partito, un tempo terra di felicità riformista, la regione dominata dal Pci-Pds-Ds-Pd dalla fine della Seconda guerra mondiale.
Adesso quel cuore e quel potere sono in pericolo. Il 26 gennaio si voterà per le regionali in Emilia Romagna e Zingaretti rischia una disfatta per mano di Salvini. Il suo avversario è proprio il segretario della Lega, il capo della destra sovranista, abilissimo nel cavalcare le paure della globalizzazione. Il segretario democratico gli contrappone un progetto di paese più giusto perché l’Italia «non deve avere più paura del suo futuro».
Già, perché le paure del ceto medio, dei lavoratori, dei giovani e dei pensionati sono tante: la crisi economica, la precarietà, la mancanza di tutele sociali, le troppe tasse, la deindustrializzazione, il dissesto ambientale, gli immigrati. Su queste paure il populismo di Salvini ha battuto quello di Di Maio: il segretario leghista ha stravinto le europee e tutte le elezioni amministrative dell’ultimo anno mentre i grillini sono colati a picco e il Pd ha collezionato solo sconfitte.
Salvini chiede le elezioni politiche anticipate e vuole espugnare anche l’Emilia Romagna, la roccaforte rossa per antonomasia. Da settimane il Capitano batte a tappeto la regione con comizi e manifestazioni. È stato ripetutamente contestato anche in piazza dalla sinistra tradizionale e da quella radicale ma non si dà per vinto. Punta al colpo grosso, impensabile fino a poco tempo fa, di governare l’Emilia Romagna. A quel punto avrebbe i giorni contati il governo giallo-rosso e, forse, la stessa leadership di Zingaretti.
Male, malissimo. Il Pd ha continuato a collezionare sconfitte da quando Zingaretti è andato al governo con il M5S: la clamorosa disfatta nelle elezioni regionali in Umbria in favore di Salvini; la scissione operata da Renzi che ha fondato Italia Viva; il rischio di chiusura dell’ex Ilva di Taranto; Venezia sommersa da 187 centimetri di acqua salata del Mare Adriatico.
La destra è «brava a raccontare i problemi, ma non a risolverli», ha detto Zingaretti incontrando a New York Bill Clinton e il sindaco Bill De Blasio. Tuttavia nemmeno il governo M5S-Pd-Italia Viva-Leu ha risolto “i problemi”. Le promesse di «discontinuità» e di «vera svolta» fatte da Nicola Zingaretti quando nacque il Conte due non si sono viste. È restato sulla carta l’impegno ad «aprire una nuova stagione» all’insegna dell’uguaglianza, del lavoro, dello sviluppo in chiave di economia verde.
Zingaretti in una lettera aperta al Corriere della Sera aveva esposto il progetto di rifondazione del Pd. Potrebbe cambiare nome e spostarsi più a sinistra marcando la scelta con il possibile rientro di Speranza, Bersani e D’Alema, usciti alcuni anni fa per fondare Leu.
Gli elettori delusi da tante promesse non mantenute sono difficili da riconquistare. Servono fatti, un progetto di futuro all’insegna dell’uguaglianza, dello sviluppo, di una società vivibile. «La ricerca delle felicità» prevista dalla Costituzione americana è un traguardo nello stesso tempo meraviglioso e stratosferico.