Alitalia senza pace. Scaduto anche il termine del 21 novembre, ultima data fissata per l’offerta vincolante di una cordata di nuovi azionisti, la compagnia aerea va verso l’ottavo rinvio della serie. E non si vede come possa uscire dalla situazione di stallo che si protrae ormai da 30 mesi e fino ad oggi è costata ai contribuenti un altro miliardo e mezzo.
Allo stato delle cose, è difficile immaginare una soluzione, perché alla vigilia dell’ultima scadenza per l’offerta vincolante Atlantia si è tirata fuori. La società della famiglia Benetton ha fatto sapere di non essere disposta a entrare nel consorzio con gli americani della Delta Air Lines per acquistare il previsto 35 per cento della nuova società. E così alle Ferrovie dello Stato, a cui il governo aveva affidato il ruolo di capocordata, non è rimasto che prendere atto della «mancanza delle condizioni necessarie» per mettere insieme un gruppo di investitori disposti a salvare l’ex compagnia di bandiera. La palla adesso torna ai tre commissari: Mario Laghi, Daniele Discepolo e Stefano Paleari e al governo.
Il ministro Stefano Patuanelli, che ha preso il posto di ministro dello Sviluppo che nel governo gialloverde fu di Luigi Di Maio, fa il pompiere e getta acqua sul fuoco dichiarandosi «parzialmente ottimista» sull’operazione di salvataggio.
In un’intervista a Class Cnbc Patuanelli ha detto che la proposta di Delta è positiva, ma «manca quel quid in più». Cosa significhi «quid in più» non è chiaro, visto che la compagnia aerea Usa ha sempre dichiarato di voler investire nell’operazione 100 milioni di euro e da lì non si è mossa. Patuanelli stende anche la mano a Lufthansa, che ha sempre legato un suo ingresso alla ristrutturazione del vettore italiano, chiedendo ai tedeschi di «fare un piccolo sforzo iniziale e cioè compartecipare all’equity da subito». Un’apertura di credito che la compagnia di Francoforte non ha mai ricevuto da quando il M5S, di cui Patuanelli fa parte, è arrivato al governo.
Anzi. Come ha ricordato maliziosamente un rappresentante sindacale nell’autunno del 2018 «i vertici del gruppo tedesco furono fatti attendere ore e poi mandati via senza neanche poter stringere la mano all’allora ministro dello Sviluppo economico», Luigi Di Maio.
Stesso copione per Atlantia, la società della famiglia Benetton, di cui Cinquestelle non voleva nemmeno sentir parlare da quando, dopo la tragedia del ponte Morandi, aveva chiesto il ritiro delle concessioni autostradali. Poi ci ha pensato il premier Conte ad ammorbidire i toni trasformando il ritiro della concessione ad Autostrade per l’Italia in «revisione». Ma la famiglia Benetton, dopo aver pubblicamente legato l’ingresso in Alitalia alle concessioni autostradali in una lettera inviata a ottobre scorso, adesso ha fatto un altro passo. Chiedendo in sostanza al premier di scoprire la carta della «revisione». Anche perché, viste anche le dichiarazioni del barcollante Luigi Di Maio («Non si barattano i morti del ponte Morandi») Atlantia non si fida e, quindi, Alitalia può attendere con la spada di Damocle del fallimento sulla testa.