Nebbia fitta per Alitalia. Per ora la sola cosa certa è che la compagnia aerea ha messo in cassa il terzo “prestito ponte” consecutivo in 30 mesi di amministrazione straordinaria. Un’iniezione di altri 400 milioni di euro di denaro pubblico, autorizzata nella notte del 2 dicembre dal Consiglio dei ministri, che consentirà di volare per altri sei mesi. Cioè fino a maggio prossimo. Sempre che prima non intervenga l’Unione Europea che ha già messo sotto osservazione i 900 milioni dei due prestiti precedenti in quanto potrebbero essere considerati “aiuti di Stato” e come tali sarebbero vietati dalle regole di Bruxelles.
Quella dell’Alitalia è una “maledizione” che da più di dieci anni investe ogni governo. Ma adesso, dopo una serie infinita di annunci, “prestiti” statali e bugie, è del tutto evidente che la cessione è impossibile, che il vagheggiato partner industriale non c’è e che, nelle condizioni date, la nostra ex compagnia di bandiera non se la prende nessuno.
Non è un caso se dopo 30 mesi di gestione straordinaria, otto proroghe e sette rinvii della “data” fissata per la presentazione di un’offerta vincolante siamo ancora al punto di partenza. La compagnia continua ad essere una macchina mangia soldi e perde circa 900 mila euro al giorno. Nei primi sei mesi di quest’anno ha accumulato un passivo di 164 milioni di euro, 38 in più del primo semestre 2018. La spiegazione sarebbe legata all’aumento del costo del carburante.
E adesso? Stefano Patuanelli, il ministro Cinquestelle che ha sostituito il suo “capo politico” Di Maio alla guida dello Sviluppo Economico, prospetta non si capisce bene quali tagli («agire fortemente sulla componente costo») per attirare il solito fantomatico partner industriale, la grande compagnia aerea. Il problema è che i commissari hanno già tagliato dove si poteva. Per esempio sul leasing degli aerei ridotti a 113. Resterebbe il personale. Ma, contrariamente a quello che molti pensano, oggi piloti e personale di bordo Alitalia costano il 7 per cento meno di Lufthansa e l’11 per cento meno di Air France. Confronto assolutamente corretto, perché il calcolo è stato fatto in relazione agli incassi delle compagnie.
Quindi il problema è un altro. Come abbiamo scritto tante volte su Sfogliaroma, quello di Alitalia è un problema strutturale: troppo piccola per poter competere con i grandi vettori internazionali tipo Lufthansa e troppo grande per poterlo fare con le low cost tipo Ryanair.
Quindi va ristrutturata e ridimensionata. Esattamente come da tre anni chiede Lufthansa, disposta ad acquistarla per trasformarla nella sua sussidiaria per l’Europa meridionale e inserirla nel suo network. Ma questo richiederebbe una drastica ristrutturazione, una vera e propria cura da cavallo con separazione delle attività di volo dalla manutenzione e dai servizi per l’assistenza terra. Alla fine ci sarebbero circa cinquemila esuberi. Ossia quasi la metà degli attuali dipendenti della compagnia che sono undicimila.
Per fare la ristrutturazione, sembra che il governo intenda nominare un commissario unico. Finalmente un esperto del settore che faccia quello che andava fatto da mesi, mentre l’allora vicepremier Di Maio inventava la cordata con le Ferrovie dello Stato promettendo a più riprese l’arrivo (a breve) di un partner industriale, il fantomatico colosso del trasporto aereo pronto a rimettere sul mercato la compagnia aerea italiana.