Maggioranza variabile. Antonio Costa, segretario del Partito Socialista Portoghese e presidente del Consiglio ama le partite difficili. Dopo aver governato per quattro anni con l’appoggio esterno della sinistra, da quando ha vinto le elezioni politiche di ottobre, staccando l’opposizione del SDP di nove punti, ha deciso di guidare un altro esecutivo di minoranza.
La differenza rispetto al passato è che questa volta il premier non ha firmato (almeno fino ad ora) alcun accordo per assicurarsi in Parlamento i voti del PCP e del Bloco de Esquerda, il partito di estrema sinistra che a ottobre ha confermato i suoi 19 parlamentari. I comunisti, invece, ne hanno perduti 5, riducendo a 12 deputati la loro rappresentanza nell’attuale Assemblea legislativa, dove al monocolore socialista mancano solo dieci voti per la maggioranza. Ma sono voti che il capo del governo ha deciso di cercare di volta in volta.
In realtà, lo ha fatto anche nella passata legislatura, quando, l’anno scorso, si è appoggiato all’opposizione socialdemocratica per far passare un bilancio dello Stato senza quell’aumento del deficit pubblico che chiedeva l’estrema sinistra minacciando di far mancare i suoi voti in Parlamento e di aprire così la crisi.
Fu in quell’occasione che Costa mostrò la sua abilità di manovratore. Dalla bozza di Bilancio presentata dal ministro dell’Economia Mario Centeno risultava un incremento del Prodotto interno lordo superiore alle previsioni, ma erano soldi che il governo aveva deciso di riservare soprattutto alla riduzione del deficit, che in un Paese come il Portogallo, uscito dalla gestione della Troika solo nel 2014, è ancora alto.
Il problema era che, in vista del doppio appuntamento elettorale (europee di maggio e politiche di ottobre) la sinistra chiedeva lo sblocco immediato degli stipendi dei dipendenti pubblici congelati dalla Troika. Costa rispose che non si poteva, perché bisognava continuare a tenere i conti sotto controllo e la sinistra minacciò di far mancare i suoi voti in Parlamento. Sull’orlo della crisi di governo, il premier raggiunse un accordo con l’opposizione socialdemocratica che si impegnava a votare il bilancio presentato da Centeno.
Lo scontro divenne incandescente, con il Bloco de Equerda che accusava il governo di virare a destra e il premier che rispondeva, non con un tweet, ma intervenendo in Parlamento che non c’era nessuna svolta a destra e che per quanto lo riguardava la “gerigonça” ( il significato della parola in italiano è più o meno “accozzaglia”), poteva andare avanti. Ma, aggiunse, le alleanze di governo «sono come il latte e lo yogurt, cioè a scadenza. Nel nostro caso, la scadenza è fissata per la fine di questa legislatura».
A ben guardare, è stato di parola. Vinte le europee di maggio e le politiche di ottobre con il 36,65 per cento, e a un passo dalla maggioranza assoluta, ha deciso di andare avanti da solo. Senza sottoscrivere una nuova alleanza di governo, almeno per ora, in vista della prossima legge di Bilancio.