È uno sgretolamento tumultuoso. Il Movimento 5S è precipitato in poco più di un anno. Nelle elezioni politiche all’inizio del 2018 ottenne il 32% dei voti, nelle europee del 2019 sprofondò al 17%, la stessa percentuale degli ultimi sondaggi. Cinquestelle cadenti.
Non è andata meglio nei cinque voti regionali di quest’anno: in Abruzzo, Sardegna, Basilicata, Piemonte e Umbria ha trionfato il centro-destra a guida leghista conquistando sempre il governatore. Il Movimento 5S è comunque andato male sia quando si è presentato alle urne da solo sia quando ha scelto l’alleanza con il Pd. Anzi in Umbria, l’ultima regione nella quale si è votato e correva assieme al centro-sinistra, c’è stata una scioccante disfatta: appena il 7% dei voti. Il trauma è stato pesantissimo, così è arrivato il no ad una replica dell’alleanza con Zingaretti nelle elezioni regionali di gennaio in Emilia Romagna e in Calabria.
C’è una emorragia continua di consensi e anche di parlamentari. Dal 2018 diversi deputati e senatori, in rotta di collisione con Luigi Di Maio, o hanno detto addio o sono stati espulsi dal M5S. A molti non è piaciuto il governo Conte uno con la Lega, altri hanno contestato il successivo Conte due con il centro-sinistra a guida Pd.
I contrasti nel governo giallo-rosso sono forti con Nicola Zingaretti, Matteo Renzi e Roberto Speranza. In economia, sulla giustizia, sull’ambiente diventano esplosivi così Giuseppe Conte, pure bravissimo a mediare, rinvia i problemi al 2020, all’anno nuovo. La verifica di governo fissata a gennaio con Di Maio, Zingaretti, Renzi e Speranza non lo preoccupa. Non vuole sentire parlare di crisi e di elezioni politiche anticipate, ventilate dal segretario del Pd (e fortemente reclamate da Salvini) se l’esecutivo dovesse restare paralizzato dai contrasti. Anzi, il presidente del Consiglio scommette sul rilancio. In una intervista al Corriere della Sera ha annunciato un imponente programma di «riforme strutturali» da lanciare nella verifica di gennaio sulla base dell’«Agenda 2023».
È un ottimismo della volontà. A dicembre tre senatori pentastellati (Grassi, Urraro e Lucidi) hanno abbandonato il Movimento 5S e sono passati con la Lega. E per il governo è scattato l’allarme perché al Senato la maggioranza su cui contare si è fatta stretta. Se dovessero uscire altri senatori sarebbero guai per il Conte due. Non solo. È infuocata anche la situazione alla Camera. Qui, secondo molti giornali, ci sarebbero una ventina di deputati grillini sul piede di partenza.
Salvini gongola per i nuovi acquisti. Il segretario del Carroccio punta su altre adesioni: «Le porte della Lega sono aperte a tutti gli eletti e agli elettori a 5 Stelle che mantengono coerenza, onore e dignità». La sconfitta è bruciante per Di Maio. Il capo politico grillino e ministro degli Esteri ha imprecato contro «il mercato delle vacche aperto da Salvini». Ha parlato di tradimento, sollecitando «chi se ne vuole andare» a dimettersi da parlamentare per tornare a casa.
I pentastellati da tempo perdono voti e parlamentari verso destra, verso il Carroccio di Salvini, non più Lega nord ma nazionale. Molti elettori populisti grillini sono passati da tempo alla Lega o all’astensione. Qualcuno è pure tornato a sinistra, verso il Pd. Zingaretti, con cautela, cerca di intercettare i consensi in uscita verso sinistra: una parte dei cinquestelle «è convinta di un rapporto leale e duraturo con la sinistra. A partire, mi sembra, da Grillo». Il movimento delle “sardine” potrebbe aiutare l’operazione.
Beppe Grillo e Di Maio un tempo dicevano che i cinquestelle non erano «né di destra né di sinistra». Ma poi lo stesso Grillo, dopo la sfiducia annunciata da Salvini ad agosto al governo giallo-verde, sollecitò un riluttante Movimento 5S a formare il Conte due con il Pd, il vecchio nemico di sempre, per cambiare l’Italia. Il presidente del Consiglio in perfetta sintonia ha recentemente annunciato: il suo cuore «batte più a sinistra».
Ma c’è una bella differenza tra la Lega e il Pd: Salvini dal 17% delle elezioni politiche è balzato al 34% delle europee e ora staziona al 31% nei sondaggi; Zingaretti è passato dal 18% delle politiche al 22% delle europee ma nelle rilevazioni dei consensi è ridisceso al 18%.