Giuseppe Conte cerca di “sminare” la verifica di governo di gennaio resa più complicata dalle dimissioni di Lorenzo Fioramonti. Il presidente del Consiglio già sabato 28 dicembre, nella conferenza stampa di fine anno a Villa Madama a Roma, ha annunciato la rapida riparazione della “falla” apertasi nell’esecutivo giallo-rosso: Lucia Azzalina da sottosegretaria sarà promossa ministra dell’Istruzione; Gaetano Manfredi sarà il nuovo ministro dell’Università e della Ricerca.
I grillini hanno perso voti e parlamentari a destra in favore della Lega, il governo giallo-rosso perde pezzi a sinistra. Lorenzo Fioramonti, cinquestelle di matrice sinistra ecologista, si è dimesso da ministro dell’Istruzione, dell’Università, della Ricerca ponendo pesanti problemi politici, accusando l’esecutivo di poco coraggio negli investimenti per la scuola, il «vero motore del Paese».
Si è scatenato un terremoto. Fioramonti, in passato indicato come il possibile leader pentastellato in alternativa a Di Maio, su Facebook ha annunciato che il suo impegno in favore della scuola continuerà «come parlamentare della Repubblica italiana». L’ex ministro sembrerebbe intenzionato a dare battaglia. Il tam tam di Montecitorio parla di un suo progetto per un nuovo partito ambientalista vicino a Conte. Il primo passo sarebbe il varo di un nuovo gruppo alla Camera formato con alcuni deputati dissidenti cinquestelle. Sarebbero pronti a una scissione circa 15 deputati e 10 senatori.
Immediatamente Conte ha preso le distanze e sconsigliato ogni tipo di scissione: «Io non ho velleità di avere un partito o un gruppo di riferimento». Ha indicato il pericolo di «una frammentazione» del M5S, il principale partito della maggioranza, perché destabilizzerebbe il governo. Invece il presidente del Consiglio vuole governare fino al 2023 passando dallo «sprint a ostacoli» dei primi quattro mesi dell’esecutivo giallo-rosso ad altri tre anni di «maratona» fatta di riforme strutturali.
Per i grillini avanza il rischio di un nuovo caso Federico Pizzarotti, il sindaco di Parma messo alla porta dal M5S e confermato trionfalmente alla guida della città emiliana con i voti di una sua lista elettorale. Anche da lì cominciò una brutta parabola discendente per i cinquestelle.
Da tempo Fioramonti, divenuto celebre per aver proposto la contestata tassa sullo zucchero delle bevande nota come “sugar tax”, era entrato in rotta di collisione con Di Maio. Aveva rivolto soprattutto due critiche al capo politico grillino in una intervista a 7, il settimanale del Corriere della Sera: 1) il governo con la Lega «ci ha logorati», 2) il Movimento «ha subito uno snaturamento dovuto a un’attenzione eccessiva ai sondaggi». Di qui la proposta di tornare ai contenuti e alla «filosofia primordiale del Movimento, che nacque progressista e ambientalista».
Fioramonti rappresentava l’anima ambientalista e di sinistra del Movimento in contrapposizione con quella di destra in sintonia con Salvini. Proprio per questo motivo fu promosso ministro dell’Istruzione nel governo Conte due quando Di Maio ad agosto, spinto da Beppe Grillo, ruppe con la Lega e siglò l’alleanza con il Pd. Fioramonti era la carta per assicurare la stabilità all’esecutivo giallo-rosso, formato da M5S-Pd-Italia Viva-Leu. Tuttavia così non è stato.
La verifica di governo, fissata da Giuseppe Conte ai primi di gennaio, si è aperta prima del previsto destabilizzando i già precari equilibri nella maggioranza e nei pentastellati. Tuttavia la vera verifica per l’esecutivo ci sarà il 26 gennaio, quando si svolgeranno le elezioni regionali in Emilia Romagna e in Calabria. La sorte del governo sarà segnata se Zingaretti, dopo tante sconfitte elettorali, perderà in favore del centro-destra guidato da Salvini anche l’Emilia Romagna, la “regione rossa” per antonomasia.