Tornato in Parlamento per una triplice audizione (Lufthansa, il Commissario straordinario e il ministro competente) il caso Alitalia sembra ancora lontano da una soluzione. Ma l’appuntamento del 7 gennaio presso la Commissione Trasporti della Camera un merito ce l’ha. Consente di fotografare la situazione in cui versa la ex compagnia di bandiera che, con la cassa ormai vuota, ha appena ottenuto dallo Stato altri 400 milioni di euro di prestito per poter volare fino a giugno.
Giuseppe Leogrande, il commissario unico appena insediato per sostituire ben tre amministratori straordinari che hanno guidato Alitalia per 30 mesi senza riuscire a venderla, ha dato qualche particolare in più alla Camera: l’ex compagnia di bandiera «ha bruciato circa 300 milioni di euro all’anno, nel periodo di amministrazione straordinaria». Ha indicato Giancarlo Zeni come nuovo direttore generale e ha confermato la volontà di cercare acquirenti. La Lufthansa è alla finestra. Il rappresentanza della compagnia tedesca Joerg Eberhart ha ribadito ai deputati l’interesse, a precise condizioni, per l’Alitalia: servirebbe subito «un risanamento ampio a 360 gradi, pluriennale». Si può pensare «anche a un ridimensionamento» ma «solo come ultima ratio».
Il caso Alitalia è tornato al punto di partenza. E cioè all’autunno del 2017, quando la Lufthansa offrì 200 milioni di euro per l’acquisto. I giornali scrissero che non se ne fece nulla perché i commissari chiedevano il doppio. Ma il vero problema era che il colosso aereo tedesco era interessato esclusivamente alla parte volo e chiedeva una ristrutturazione. Insomma un drastico taglio del personale.
Ma, come è noto, Luigi Di Maio – all’epoca ministro dello Sviluppo economico, vicepremier e capo politico di Cinquestelle – non voleva sentir parlare né di “spacchettamento” né di esuberi. Infatti continuava a ripetere che Alitalia bisognava venderla tutta intera e senza tagli di personale.
Il risultato adesso è sotto gli occhi di tutti. Dopo 30 mesi di amministrazione straordinaria i tre commissari allora nominati dal governo gialloverde non sono riusciti a mettere insieme un gruppo di acquirenti, nemmeno dopo la trovata di Di Maio di chiamare in causa le Ferrovie dello Stato per mettere insieme una cordata, un gruppo di azionisti che affiancasse il Ministero dell’Economia che sarebbe entrato con il 15 per cento. Alla fine si è fatto avanti solo Delta Airlines, colosso aereo Usa interessato alle rotte atlantiche, ma disposto a intervenire solo con il dieci per cento. E così la cordata si è rivelata impossibile e i commissari non sono riusciti né a vendere, né a risanare, né a ristrutturare.
Adesso sarebbe interessante (e doveroso) che qualcuno spiegasse il perché di questo ennesimo flop nella gestione della compagnia. Ma per saperlo bisognerebbe conoscere i veri conti della gestione commissariale che non sono completi. E bisognerebbe capire anche il perché di certi costi fuori mercato. Su tutti carburante e leasing. Quello dei canoni fuori mercato degli aerei Alitalia è un capitolo tutto da scrivere.
Recentemente, Il Corriere della Sera ha potuto esaminare alcuni documenti e ha scoperto che l’affitto dell’Airbus A321 restituito il 30 dicembre scorso da Alitalia ai proprietari di Dae Capital costava il 52% più del valore di mercato. E non si tratta di un caso isolato. Gli Embraer della divisione regional CityLiner, infatti, costano il 64% più della media di mercato, gli Airbus A319-320-321 circa il 32% in più e i jet del lungo raggio (A330, B777-200ER e il B777-300ER) addirittura il doppio.
E adesso? Adesso il nuovo commissario dovrà mettere le mani al bisturi tagliando i costi e qualche migliaio di dipendenti per traghettare Alitalia verso Lufthansa che in tre anni non si è mai mossa dalla sua posizione. E cioè: sì all’acquisto della compagnia aerea italiana per farne una sussidiaria, ma solo dopo una profonda ristrutturazione che le consenta di stare in piedi.