Negli archivi della polizia e dei carabinieri sono molti i casi di delitti insoluti. Alle volte è difficile scovare un omicida che fa di tutto per cancellare ogni traccia, ogni indizio. Tuttavia alle volte possono anche ripartire le indagini.
“22 gradini per l’Inferno. Dal mostro di Nerola al depezzatore di Roma. I serial killer italiani nella Scala del Male” dà nuova linfa, annuncia un comunicato stampa, alle indagini sull’omicidio di Gabriele Di Ponto. Dopo l’uscita del nuovo libro dei giornalisti Rita Cavallaro ed Emilio Orlando, edito dalla casa editrice Male Edizioni di Monica Macchioni, che nell’ultimo capitolo si sono occupati proprio del depezzatore di Roma, un collaboratore di giustizia si è recato dagli investigatori che indagano sulla scomparsa dell’ultrà laziale, di cui ad agosto del 2015 fu ritrovato solo un piede sulle rive dell’Aniene.
L’informatore ha svelato agli inquirenti: «Il corpo fatto a pezzi di Gabriele Di Ponto è stato gettato in un tombino a San Basilio» e ha raccontato che l’omicidio di Di Ponto sarebbe maturato nel contesto di un regolamento di conti nell’ambito della droga, che il corpo venne straziato in un appartamento di San Basilio, gettato in una fognatura nella roccaforte dello spaccio e che il piede venne tranciato, per poi essere abbandonato in un posto diverso da dove era stato ucciso principalmente per lanciare un messaggio inquietante ad eventuali sodali infedeli.
L’identificazione, infatti, fu immediata, grazie ad un tatuaggio sul polpaccio in cui c’era scritto «Ogni giorno è buono per morire» e con accanto la figura di Mr. Enrich, simbolo degli ultras Laziali. Nella scorsa estate erano emersi altri particolari utili a ricostruire la vicenda dell’orrore di cui rimase protagonista il pregiudicato trentaseienne legato al clan di Fabrizio Piscitelli, il capo ultrà della Lazio assassinato in via Lemonia, al Parco degli Acquedotti.