Ci sono persone che avresti voluto conoscere; anche se ti avvertono che hanno un caratteraccio, forse proprio per questo (poi scopri che quasi mai è vero: il presunto “caratteraccio” è “solo” aver “carattere”). «Cesare poteva sopportare tutto fuorché il luogo comune, la banalità, il cattivo senso comune», dice Massimo Cacciari, nel discorso funebre a proposito del suo amico Cesare De Michelis. Poi aggiunge: «Poteva amare invece il paradosso, la contraddizione, il conflitto, perché in quello vedeva, come tutte le persone che indagano, che interrogano, la molla per ogni avanzamento…».
Marco Sassano, l’autore di I libri sono come le ciliegie. Cesare De Michelis in parole sue (Marsilio editore, pagg.240, 16 euro), ce lo racconta da par suo, questo “caratteraccio”; scopre subito, fin dalle prime righe, le sue carte: «Chi firma questo libro ha la sola scusante e il solo merito di essere stato, quasi per tutta la vita, un amico di Cesare. E, per lui, Cesare è stato il suo unico amico…».
Il “merito” è indubbio; quanto alla “scusante”: se non avesse confezionato il libro, avrebbe ragione e motivo di dolersene, e darne qualche spiegazione. Invece, eccolo il libro; e anche le sue pagine sono come le ciliegie: cominci e non te ne puoi staccare, finché, giunto alla fine: «Fortunato lui, che l’ha conosciuto e frequentato; peccato per noi, che questa opportunità non l’abbiamo avuta».
Dico “confezionato” a ragion veduta: perché in queste 240 pagine, c’è il racconto, dolente e “complice” di Sassano, che opera sapienti raccordi: il suo lavoro ha il pregio e l’intelligenza di lasciare che sia lo stesso De Michelis a parlare, a “raccontarsi”: “Cuce” con straordinaria abilità e amorevole cura le riflessioni e i pensieri disseminati in scritti, interviste; e si indovina che non mancano le confidenze, le conversazioni, i momenti in cui ci si “scarica”, si cercano “complicità”.
Si prenda il “Libro settimo” (curioso chiamare “Libro” i vari capitoli; ma in fondo sì: i sette capitoli sono ognuno dei “libri”, associati): il titolo è un’esortazione e un’aspirazione insieme: «Riedificare un sistema di valori». Leggiamo: «Non ho fatto che quattro cose nel tempo che mi è stato dato». Interrompe così il discorso sui massimi sistemi che sta facendo e, alzando la mano destra davanti agli occhiali e prendendo poi le dita una per una, a partire dall’indice, enuncia: «Uno, una casa editrice. Due, una famiglia. Tre, un lavoro da insegnante. Quattro, una biblioteca». Sorride, piega la testa di lato e fissa l’amico che l’ascolta serio molto serio, perché capisce che quello che Cesare sta facendo è il bilancio della sua vita, ora che, malato, sa di non avere più molto tempo davanti. Una pausa e conclude: «Mi pare sufficiente». Commenta: «Guardandoci, rimaniamo in silenzio nella bianca, grande stanza dell’ospedale di Mestre dov’è ricoverato. Ognuno dei due chiuso nei suoi pensieri…» (pag.179).
Personaggio da ascoltare, osservare: capace d’andare contro la corrente; e magari in un primo momento ti lascia perplesso, basito; poi ti convince delle sue buone ragioni. Le grandi navi, per esempio: da tutti avversate, pericolosamente si avvicinano a Venezia, e con più di una imprudenza. Lui sembra scrollare le spalle: «Ogni volta che ne vedo una mi si allarga il cuore. Venezia è un porto da 1500 anni. Dire NO è privo di senso. Certo, vi sono problemi ambientali che vanno affrontati e risolti…E poi le navi più sono grandi e più danno garanzie ecologiche. Venezia è il più importante porto per crociere d’Italia. Non lo si può dimenticare…» (pag.111); eccolo là…
Ancora: «L’autogol fatto negli ultimi decenni è aver fortemente ridotto la capacità attrattiva e le nostre professionalità nel campo turistico. Praticamente l’amministrazione e la città per decenni hanno lanciato solo un messaggio: non venite a Venezia. Ormai non c’è più un veneziano che faccia l’imprenditore nel settore alberghiero visto che tutta la fascia alta è stata venduta all’estero. Oggi come oggi, per fare una battuta, tutto è affidato ai camerieri. C’è stato un degrado dell’offerta che ha provocato un abbassamento della domanda, anziché puntare sui grandi e buoni clienti. Ormai a rendere sono solo le bancarelle…» (pagg.110-111).
Non solo Venezia, a ben vedere; o, se si vuole – ma la cosa non consola affatto – da questo punto di vista Venezia è l’Italia.
Accorre in difesa anche di Marghera: «Marghera e Mestre non rappresentano il brutto contrapposto al bello di Venezia: il ‘900 è stato un periodo significativo per la storia e la crescita di Mestre con 40mila operai che invece di emigrare in Argentina sono venuti a lavorare qui, grazie al progetto di un visionario pazzo, Giuseppe Volpi, un genio che pensava di riprogettare il mondo come avevano sempre fatto i veneziani che avevano cambiato il corso del fiume Po» (pag.101).
Chi scorre le pagine di questo libro, si imbatte in nomi di persone a dir poco venerate (e a giusto titolo, anche se molte dimenticate): Dante Alighieri, Pietro Bembo, Angelo Beolco detto Ruzante, Giovanni Boccaccio, Vittore Branca, Erasmo da Rotterdam, Carlo Goldoni, Aldo Manuzio, Marsilio da Padova, Pietro Metastasio, Ippolito Nievo, Francesco Petrarca, e sai quanti ne ho saltati…
La cultura, l’amore per i libri. Con Gianarturo Ferrari litiga furiosamente sul valore di Eugenio Montale; a proposito di Italo Calvino: «In qualche modo, ha idealmente litigato per tutta la vita…»; la polemica con Elio Vittorini, sfrontata come solo da adolescenti si sa essere; l’amore per Goldoni. Il racconto su cosa significa “fare” un libro: «Vuol dire coinvolgere centinaia, migliaia di persone: perché qualcuno legga un libro c’è bisogno di una rete che conta su tantissimi esseri umani che sono i librai, i giornali, le televisioni, le radio, i tipografi, i correttori di bozze, i traduttori, i grafici. Senza questa rete fai dei libri che non portano da nessuna parte, di cui nessuno saprà che esistono…».
C’è tutta la concezione del lavoro, svolto con pazienza certosina e competenza di abile artigiano: «La buona concretezza del reale, del fare, del lavoro, dell’impegno, delle regole, del produrre, del costruire, con tutto il sudore e con tutta la prosaicità che ciò comporta…» (pag.181). Il tutto coniugato con una consapevole, realistica conoscenza della situazione che tocca vivere: «L’alternativa alla democrazia fu la rivoluzione, all’odiosa monotonia della maggioranza si oppose il furore delle avanguardie. L’intelligenza soppiantò la saggezza, la forza prevalse sull’equanimità e il coraggio sulla prudenza; una risata beffarda e ghignante travolse il decoro, il risparmio, la quiete, deformandole caricaturalmente per sollecitare l’odio e il disprezzo…»(pag.166). Si riferisce all’inizio Novecento, non ai giorni nostri. Ma quel che vale per ieri, si adatta perfettamente anche al tempo che si patisce.
Tuttavia, per quanto disincantato (o più propriamente: realista), non viene meno d’un millimetro ai valori di sempre: «Certo, nell’intimo resto un socialista, ma dopo la morte delle ideologie non sappiamo più autorappresentarci la società in cui viviamo. Non siamo capaci di trovare le chiavi di interpretazione dei grandi fenomeni sociali» (pag. 98). Ma, anche un programma a cui resta fedele: quello di «guardare il mondo, la società e la politica con curiosità e con passione, ma senza pregiudizi ideologici».
Da ultimo, ma sono pagine che rapiscono, grande merito di Sassano, la personale biblioteca:«…la casa di Cesare è un’enorme imbarcazione di legno e di carta, l’Arca di Noé, dove Cesare accumulava libri salvandoli da un apocalittico rischio di dispersione. Quella casa è per me sempre stata una maestosa Arca di libri che pareva galleggiare, pur con il suo immenso carico, sull’acqua…» (pag.134). Si parla di almeno 50mila volumi: letteratura italiana e saggistica che la riguarda; quella straniera è custodita nell’abitazione di uno dei figlioli.
A Giuseppe Di Leo, per Radio Radicale, rilascia un’intervista preziosa; eccone un assaggio: «Ho un’idea di letteratura molto larga. Per me è l’universo delle parole scritte. Penso che Guareschi e Gramsci siano due fonti letterarie, così come lo sono i giuristi, gli storici, i medici. Credo che non si possa capire il mondo circoscrivendolo in generi letterari stretti. Quello che interessa è capire come le idee, le civiltà cambiano gli orientamenti, i comportamenti, le prospettive dell’uomo nella storia. Non esiste altro documento che possa essere consultato e rielaborato come la letteratura: il mondo delle immagini, quello dei suoni, tutta l’importantissima produzione materiale che gli uomini fanno, se vogliamo inserirli nel racconto della storia, dobbiamo tradurli in parole…» (pag.135).
Ecco: ora si comprende il rammarico per non averlo conosciuto, Cesare De Michelis. Lenito un poco dal bel libro di Sassano: ma al tempo stesso è come un ferro che incrudelisce nella ferita…