Non è vero: per quanto ci si affanni a sostenere che il voto è amministrativo, e non ‘politico’, è evidente che il risultato che scaturirà dalle urne in Emilia-Romagna (soprattutto) e in Calabria, è destinato ad avere inevitabili riflessi politici. Per questo i vari leader giocano tutte le carte che hanno a disposizione.
Matteo Salvini, per esempio: si fa immortalare mentre abbraccia, a Brescello, la statua del Peppone protagonista dei romanzi di Giovannino Guareschi, o odora estasiato forme di parmigiano; e medita una visita ad Hammamet sulla tomba di Bettino Craxi, morto il 19 gennaio di vent’anni fa in Tunisia.
È sicuro che Guareschi lo fulminerebbe con una delle sue celebri battute; e certamente Craxi se potesse gli intimerebbe di tornarsene al suo Dio Po; ma tant’è: le gioca tutte, “capitan” Fracassa. E c’è ancora chi abbocca.
Più che mai acceso il dibattito sul futuro del Partito Democratico. Il segretario Nicola Zingaretti vuole un congresso rifondativo. Annuncia, senza troppi giri di parole, che intende ‘cambiare tutto’; subito dopo il voto in Emilia-Romagna, quale che sia l’esito. In sostanza, si propone un partito «nuovo, aperto a sardine, movimenti dei sindaci e ambientalisti».
Questa del ‘cambio tutto’ la si è sentita spesso, e non è un’esclusiva del solo Zingaretti. Ironico, un osservatore al tempo stesso partecipe, distaccato e disincantato come Emanuele Macaluso, osserva: «Occorre capire e sapere se sardine, sindaci e ambientalisti aprono al partito di Zingaretti. Non basta volere una cosa, per averla. Comunque, vedremo come si svilupperà il dibattito nel PD e nelle forze chiamate a concorrere per formare il nuovo partito che dovrebbe rifondare la sinistra. Intanto, in attesa della rivoluzione, leggo che sulla legge Bonafede-Salvini, che abolisce la prescrizione, ci sarebbe e non ci sarebbe un’intesa PD-M5S per aggiustare quella legge. In attesa della rivoluzione copernicana annunciata, il PD non poteva dire che in nome della discontinuità, sempre annunciata da Zingaretti, la legge voluta dal vecchio governo andrebbe cancellata? Insomma, in attesa della rivoluzione non c’è nemmeno la discontinuità?».
C’è chi sospetta che l’annunciata ‘rivoluzione’ abbia in realtà, un respiro molto più corto: rompere un certo isolamento, anche dello stesso Zingaretti. Lo stesso Macaluso incalza: «Mi pare l’annuncio di una rivoluzione senza però un dibattito importante. Non è che uno può singolarmente decidere di formare un partito nuovo. Nel PD si è aperta questa discussione? Non mi pare. L’obiettivo è ambizioso per le condizioni in cui quel partito è».
In ogni caso si deve attendere il voto in Emilia-Romagna, e solo dopo si capirà se il nuovo partito, promesso da Zingaretti, sarà davvero nuovo o se sarà ancora una sgangherata sommatoria di reduci e di sopravvissuti. Da trent’anni, la sinistra cambia nome e cambia simboli. Ora si annuncia l’ennesimo mutamento; dalle querce si passa alle margherite e gli ulivi, gli ‘attori’ (si fa per dire; i figuranti sarebbe più esatto) sono sempre gli stessi. Oltre al cambio di nome, quali altri contenuti, e quali le ‘nuove’ parole d’ordine? È una rigenerazione o un imbellettamento per celare le profonde rughe? Fatta salva la buona fede e le ottime intenzioni di Zingaretti, su quale base poggia il suo progetto, la sua proposta?
Per parafrasare il vecchio Hegel: «Hier ist die Rose, hier tanze», «Qui c’è la rosa, danza qui».