Un pugno nello stomaco. Paola Deffendi, la madre di Giulio, il giovane ricercatore ucciso quattro anni fa al Cairo dove si trovava per uno studio che gli era stato commissionato dall’Università di Cambridge sul sindacato degli ambulanti, raccontò di aver riconosciuto il figlio dalla punta del naso.
Il giovane era stato a lungo e ripetutamente torturato prima di essere ammazzato e gettato come un manichino smembrato in un fosso ai margini dell’autostrada che dal Cairo porta ad Alessandria d’Egitto. Il suo volto era irriconoscibile e lo strazio supremo della morte di un figlio andava ad aggiungersi all’orrore della certezza che la morte era sopraggiunta dopo giorni interminabili di una sofferenza atroce e indicibile.
Oggi Giulio Regeni avrebbe 32 anni. Suo padre Claudio, la madre Paola, insieme al loro avvocato, Alessandra Ballerini, hanno scritto un libro, edito da Feltrinelli, dal 23 gennaio nelle librerie: “Giulio fa cose”. Perché Giulio continua a indicarci la via della verità e per questo è ancora tra noi, è uno dei nostri figli che va all’estero per studiare, capire, conoscere, lavorare, e a cui la politica italiana, europea e egiziana devono la verità, accantonando “le ragioni di Stato”.
Era scomparso la sera del 25 gennaio. Il suo corpo privo di vita e di identità fu ritrovato il 3 febbraio. Una settimana in cui fu inghiottito dal nulla, in una dimensione senza storia e senza umanità, l’orrore assoluto. Questo incubo tuttavia fu ordinato e inflitto da uomini che hanno un nome e avevano delle motivazioni precise per quanto aberranti. Ci sono esecutori e mandanti ancora nell’oscurità. A distanza di quattro anni la verità sulla fine di Giulio Regeni è ancora un mistero di cui si intuiscono solo i contorni: cinque funzionari dei servizi segreti egiziani sono sotto inchiesta con l’accusa di aver partecipato al suo sequestro.
Ancora inutili gli appelli, le mobilitazioni anche a livello internazionale, l’inchiesta della procura della Repubblica di Roma, l’istituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare che si è insediata solo il tre dicembre del 2019, le visite di Stato, l’ultima quella del presidente del Consiglio Conte al presidente egiziano Al Sisi è della scorsa estate.
Prima di lui il presidente della Camera Fico, anch’egli in visita al Cairo, aveva chiesto con forza alle autorità egiziane di fare piena luce sull’accaduto. Aiuto e solidarietà chiesta dal presidente della Camera anche in ambito europeo. «Oggi ci sentiamo meno soli nell’affrontare il caso, per me – aveva dichiarato Fico durante il suo viaggio in Germania a giugno 2019 – l’importante è stato portare la questione dell’Europa, qui a Berlino. La solidarietà a livello europeo è essenziale perché Giulio Regeni era un ricercatore, uno studioso italiano ed europeo. Continueremo a lavorare per ottenere la verità su quello che è accaduto percorrendo tutte le strade che le istituzioni possono percorrere agendo in sincronia».
Ma la verità, così come i colpevoli, restano ancora e nonostante tutto nel buio, dopo quattro anni di false piste e bugie. Lo scorso dicembre, il procuratore Sergio Colaiocco e il procuratore facente funzioni di Roma, Michele Prestipino, hanno spiegato che l’Egitto ha messo in atto almeno quattro depistaggi per sviare le indagini sulla morte di Giulio.
La famiglia di Giulio però non si arrende e chiede «una verità processuale nei confronti di chi ha deciso sul destino della sua e delle nostre vite, di chi lo ha torturato, chi ha sviato le indagini, chi ha permesso e permette tutto ciò. Su Giulio sono stati violati tutti i diritti umani, compreso il diritto ad avere la verità».
Non si arrendono i suoi amici che organizzano marce e manifestazioni in varie piazze, oltre a quella di Fiumicello, paese natale di Giulio per il 25 gennaio; non si arrende l’opinione pubblica che chiede di sapere perché un giovane uomo non ancora trentenne, uno studioso, un cittadino del mondo, possa essere fatto sparire in una metropoli nel terzo millennio per poi essere ucciso dopo orrende torture.