Il virus cinese fa paura. I romani temono il Coronavirus. È una psicosi di massa simile a quella del 1986, quando esplose la centrale nucleare di Chernobyl e una micidiale nube radioattiva sorvolò l’Europa.
Sono stampate nella testa di tutti le immagini delle città cinesi con fiumi di persone con il volto coperto da mascherine a protezione dal morbo. Nei bar romani qualcuno arriva a dire: «I camerieri dovrebbero mettere le mascherine!». Oppure: «Io non prendo più la metropolitana…». In alcuni negozi i commessi usano la mascherine. Molte farmacie della capitale sono state prese d’assalto da persone impaurite e hanno esposto il singolare cartello: «Terminate le mascherine». Qualche episodio di intolleranza ha colpito dei turisti cinesi.
C’è il timore di frequentare posti affollati dopo i due turisti cinesi malati giunti a Roma, e ricoverati d’urgenza nell’Ospedale Spallanzani specializzato nelle malattie infettive. E lo Spallanzani ha già isolato il virus cinese aprendo le porte alla cura e al vaccino. Da lunedì 3 febbraio sono di nuovo in Italia 67 connazionali evacuati dall’Aeronautica militare da Wuhan e portati alla Cecchignola, la città militare di Roma, per un periodo di quarantena.
L’epidemia, comunque, fa paura in tutto il mondo. I morti per il Coronavirus sono oltre 300 e 14 mila i malati, concentrati soprattutto nella città cinese di Wuhan, il focolaio dell’infezione. I contagiati dal virus cinese si contano in oltre 20 nazioni: altri paesi dell’Estremo oriente, America, Europa, Australia.
L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha dichiarato l’emergenza globale. Molte compagnie aeree hanno sospeso o ridotto i voli con la Repubblica popolare cinese. Il governo italiano ha stabilito lo stato di emergenza sanitaria per sei mesi e ha interrotto i collegamenti aerei da e per la Cina. Giuseppe Conte ha illustrato in una conferenza stampa le misure di prevenzione per combattere il contagio. Il presidente del Consiglio, però, ha invitato a condurre una vita normale: «Nessuna paura e nessun allarmismo».
I partiti del populismo sovranista hanno colto l’occasione per attaccare il globalismo. In qualche modo il virus cinese è lo spunto per una battaglia campale tra sovranismo e globalismo. Tutto ciò che sta in mezzo, tipo la collaborazione tra gli Stati e le organizzazioni internazionali, rischia di restare schiacciato. Il segretario della Lega Matteo Salvini se l’è presa con l’esecutivo giallo-rosso: «Frontiere aperte, incapaci al governo». Conte e il Pd lo hanno invitato ad evitare speculazioni politiche. Il console generale aggiunto cinese Wang Huijuan forse ha pensato anche a Salvini quando ha puntato il dito contro chi usa «l’epidemia per insultare la Cina».
Il Coronavirus rischia di destabilizzare la Repubblica popolare cinese. Critici interni ed esterni hanno attaccato la sottovalutazione del morbo, è questa l’accusa, fatta dalle autorità e dai dirigenti del Partito comunista di Wuhan a dicembre e nei primi giorni di gennaio. Xi Jinping ha mobilitato l’intero apparato del Partito comunista per combattere l’epidemia. Il presidente della Repubblica cinese ha anche mobilitato tutta la struttura sanitaria del Dragone per combattere e debellare il Coronavirus con severe misure di prevenzione, con appropriate cure e con la realizzazione di un apposito vaccino in tempi rapidi. Ha anche assicurato la massima trasparenza e la totale collaborazione con i paesi occidentali. Incontrando a Pechino il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha ammonito: «Il virus è un demonio e non possiamo lasciare che il demonio si nasconda».