La Lega è scossa. Giorgetti, Bossi, Maroni; le contestazioni sono tante. Il Carroccio ribolle dopo la sconfitta subita nelle elezioni regionali in Emilia Romagna, dopo il fallito attacco alla storica roccaforte rossa. Le aziende del nord Italia sono preoccupate per le spaccature nella Lega. L’imprenditore milanese Gianluca Brambilla ha raccontato a La7 lo sfogo del numero 2 del Carroccio: «Giorgetti vorrebbe che Salvini andasse a trovare Bossi».
Il problema non è tanto la vittoria del Pd, del centro-sinistra nella regione storicamente rossa, quanto la “botta” presa da Matteo Salvini l’invincibile. In primavera si voterà in sei regioni: Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Campania, Puglia. Sarà la prova del fuoco per Salvini. In particolare l’attenzione è sulla Toscana, un’altra regione rossa, patria di Matteo Renzi, amministrata da sempre dal centro-sinistra. Il segretario della Lega, “il Capitano” da due anni aveva collezionato solo straordinarie vittorie: il 17% dei voti nelle elezioni politiche del 2018, il 34% nelle europee del 2019, tutte le regioni conquistate negli ultimi tempi nell’intera Italia dal centro-destra a guida leghista.
Poi è arrivata la sberla dell’Emilia Romagna. Salvini ha minimizzato: «Il M5S scompare» in Emilia e Calabria, «due regioni in cui è nato»; in Emilia «c’è stata partita» dopo 70 anni di dominio della sinistra. Ma le critiche emergono contro “il Capitano” e vanno oltre il dato della sconfitta in Emilia. Sono critiche pesanti, emergono dal gruppo dirigente storico della Lega mentre “colonnelli” e gruppi parlamentari per ora formalmente tacciono, anche se ribollono con una parte dei militanti delusi. Giorgetti, Bossi e Maroni bocciano la stessa strategia dell’ex vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno.
Giancarlo Giorgetti, vicesegretario del Carroccio, sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel governo M5S-Lega, gli ha rimproverato l’errore di avere troppi avversari: gli Stati Uniti, l’Unione Europea, il Vaticano. A il Fatto ha snocciolato un parallelo ciclistico su chi gli sta attorno nella Lega: «Salvini è un generoso. È come un corridore chino sul manubrio, che pedala, pedala, cerca di andare sempre più forte, ma rischia di non vedere cosa gli succede attorno, chi gli copre davvero le spalle, chi gli può tirare la borraccia». Forse si è riferito a se stesso che calmava gli allarmi internazionali contro il governo Conte uno, mentre alcuni leghisti indicavano la possibilità di uscire dall’euro.
Umberto Bossi ha bocciato, invece, la nuova Lega nazionale di Salvini, protesa alla conquista del Sud, che ha cancellato la parola Nord dal suo nome. L’ex segretario del Carroccio, fautore prima della secessione del Nord dall’Italia e poi del federalismo, ha attaccato il suo successore in una intervista a Repubblica: «Con la linea nazionalista» non poteva vincere in Emilia Romagna; il nazionalismo è «in grado di distruggere il partito». Le ultime elezioni, ha avvertito, «ci dicono che la strategia di andare al Sud è entrata in crisi». Invece occorre puntare sull’autonomia per curare gli interessi del Nord, «torniamo indietro finché siamo in tempo».
Il fondatore del Carroccio pone un problema di strategia e di identità politica respingendo lo scivolamento sulle posizioni della destra nazionalista, un po’ come ha fatto anche Roberto Maroni. L’ex segretario della Lega ed ex ministro nei governi di centro-destra presieduti da Silvio Berlusconi lo scorso dicembre ha preso le distanze dal congresso di Milano con il quale Salvini ha sancito la nascita della nuova Lega nazionale, quella di «prima gli italiani». Maroni ha affidato alla la Stampa il suo monito al segretario del Carroccio: «Se il Nord non verrà più ascoltato» allora «potrebbe nascere qualcosa di diverso».
Salvini, però, non cambia strada. Con i giornalisti a Palermo ha respinto le critiche e, in particolare, quelle di Bossi: «Non ci sono più padri nobili, i padri nobili della Lega sono i 9 milioni di italiani che ci danno il voto». Le critiche alla Lega nazionalista? «Rispetto le sue idee, ma non cambio le mie». Il Nord a rischio? Il segretario leghista ha ribattuto: «Non siamo mai stati così forti nelle regioni del Nord e con grande orgoglio siamo determinanti in tutte le regioni del Sud». La sua leadership «non è in discussione».
La Lega, anche se i sondaggi la danno in flessione, resta sempre il primo partito italiano con il 30% dei voti. Certo a metà del 2019 i sondaggi le assegnavano fino a un trionfale 38%, in più adesso Giorgia Meloni è diventata da destra una temibile concorrente: le rilevazioni assegnano a Fratelli d’Italia in ascesa l’11-12% dei voti. “Il Capitano” vuole confermare tutte le scelte prese al congresso di Milano a dicembre: dalla Lega italiana alla battaglia sovranista ed euroscettica. Due mesi fa al congresso disse: «Chi guarda al passato è morto».