Il governo? «Prima o poi toccherà a noi». Giancarlo Giorgetti scommette sulla caduta in tempi rapidi del governo Conte due. Vuole tenere pronta la Lega ad una possibile crisi causata dalle spallate di Matteo Renzi e dallo sgretolamento del Movimento 5 Stelle.
Il vice segretario leghista, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel Conte uno, gioca la carta americana, europea e filo occidentale. Nel suo nuovo incarico di responsabile esteri del Carroccio, in una intervista al Corriere della Sera, addirittura ha capovolto la linea passata pro russa e anti élite, europee e italiane, cavalcata fino a due anni fa da Matteo Salvini.
La parola chiave è affidabilità. Punto uno: «Noi non vogliamo uscire» dall’euro. Punto due: con l’Unione europea «si deve collaborare» anche sui migranti. Punto tre: è pronto a lasciare il gruppo al Parlamento europeo con l’estrema destra populista tedesca e francese della Le Pen («Nessun matrimonio è indissolubile») per aderire a quello dei conservatori. Punto quattro: la Lega tifa per gli Usa del sovranista Trump («Siamo sempre stati filo-americani») e non per la Russia di Putin o per la Cina di Xi Jinping. Punto cinque: per Mario Draghi non esclude nessun prestigioso incarico istituzionale, neppure il Quirinale nel 2022. Non si rassegna al pensionamento dell’ex presidente della Banca centrale europea, il salvatore dell’euro: «Se dovesse ritirarsi al mare o in montagna sarebbe una perdita per l’Italia».
È una svolta radicale. Fino a due anni fa Salvini dava sfogo a tutte le pulsioni euroscettiche della protesta sociale anti sistema mietendo voti: no all’euro, bordate contro il presidente della Bce Draghi, basta con gli immigrati, forte intesa con Putin («In Russia mi sento a casa mia mentre in alcuni paesi europei no», disse in un viaggio a Mosca alla fine del 2018).
Nella Lega convivono una linea populista anti élite di Salvini e una moderata e governista di Giorgetti. Giancarlo Giorgetti è leale con il segretario ma non gli risparmia critiche. A gennaio gli rimproverò di aver contemporaneamente tre potenti nemici: gli Usa, la Ue, il Vaticano. Gli consigliò di correggere gli errori: «Un fronte di scontro lo puoi reggere, due forse, tre no».
Sembra spuntarla, guadagna posizioni. Giancarlo Giorgetti è diventato responsabile esteri della Lega, è il segno del possibile nuovo corso per superare la sconfitta nelle elezioni regionali in Emilia Romagna, il fallimento della strategia delle spallate contro «il governo abusivo» M5S-Pd-Italia Viva-Leu, le critiche di Umberto Bossi.
Giorgetti ha ridisegnato il perimetro delle alleanze internazionali del Carroccio. Ha coperto Salvini respingendo le accuse alle venature autoritarie della Lega nazionale: il Carroccio è «un partito di governo da vent’anni, non una banda di fascisti come stancamente e stupidamente ripete la sinistra». Il numero 2 della Lega vede l’Italia in una situazione di emergenza: alla deriva tra instabilità politica, stagnazione economica e rischi di una nuova recessione a causa dell’epidemia cinese del Coronavirus.
Se crollasse il Conte due, e non ci fossero le elezioni politiche anticipate, potrebbe emergere un esecutivo di unità nazionale. Del resto lo stesso Salvini a dicembre aveva proposto di formare un Comitato di salvezza nazionale con tutte le forze politiche. Aveva lanciato l’ipotesi di un governo di larghe intese, mettendo da parte la richiesta dei «pieni poteri» avanzata ad agosto quando dalla spiaggia del Papeete fece cadere il governo Conte uno, puntando sul voto anticipato mai ottenuto. Il presidente del Consiglio potrebbe anche essere Draghi, lodato da Giorgetti.
La sortita pro euro di Giancarlo Giorgetti, però, ha provocato la rivolta della “pancia” leghista sovranista. Salvini, temendo di perdere voti, ha effettuato subito una controsvolta su Facebook. È tornato alle origini e ha lasciato una porta aperta all’addio a Bruxelles: se l’Europa non cambia allora «come mi ha detto un pescatore di Bagnara Calabra, “ragazzi, facciamo gli inglesi”». Successivamente “il Capitano” ha aggiunto: «È quello che dice anche Giorgetti». Doppia linea: un po’ per restare nella Ue e un po’ per l’uscita modello Regno Unito. Però non ha smentito gli elogi a Draghi.