La sola cosa certa, in tempo di Coronavirus, è che siamo di fronte a un cambiamento epocale. E quando l’epidemia verrà finalmente messa sotto controllo, ci accorgeremo che l’impatto economico e sociale sarà stato devastante e che nulla potrà più rimanere come prima. Soprattutto nei Paesi che, per una ragione o per l’altra, appaiono già adesso più fragili.
Prendiamo l’Italia e il Portogallo. Vivendo gran parte dell’anno a Lisbona, vedo che qui il virus sta già mettendo a nudo la fragilità d’un paese che stava sì crescendo a un ritmo superiore alla media europea, ma che restava pur sempre povero e privo di un solido tessuto industriale. A trainare l’economia sono stati quindi due settori: turismo e immobiliare. Una scorciatoia, certo, una strada imboccata con decisione dal 2015, cioè dopo l’uscita della Troika chiamata al capezzale d’un Paese che all’inizio degli anni duemila era sull’orlo del fallimento.
Chiaro che due settori così fragili non potevano risolvere da soli tutti i problemi, anche se l’arrivo dei pensionati europei esentasse, l’incremento del turismo (27 milioni di arrivi nel 2019) e il boom del settore immobiliare hanno portato tanti soldi e dato ossigeno ai conti dello Stato.
Ma adesso, con l’arrivo dei primi cinque casi ufficiali di Coronavirus, sta arrivando la paura. Il governo Costa che fino all’altro ieri faceva finta di niente è stato costretto a mettere in piedi un’unità di crisi. Presidente del Consiglio e Presidente della Repubblica hanno dovuto affrontare pubblicamente il problema, invitando la popolazione alla prudenza. Alle scuole pubbliche è stato dato l’ordine di annullare i viaggi di Pasqua. E, mentre si avvicina l’estate, sembra già evidente che i 27 milioni di turisti dell’anno scorso rappresenteranno per molto tempo soltanto un ricordo.
Se il Portogallo cerca di affrontare l’epidemia con cautela, l’Italia lo ha fatto in maniera caotica e in ordine sparso. Senza un piano e senza una direzione di marcia. Solo adesso, di fronte a più di tremila infettati e a oltre cento morti, il governo si è deciso a mettere a punto una terapia choc (chiusura degli stadi, estensione delle “zone rosse”, decalogo di comportamento per la popolazione, eccetera).
E prima? Prima era il caos. Ogni regione andava per suo conto e molti politici cercavano di usare il Coronavirus come uno spettacolo per andare sul palcoscenico e strappare l’applauso. Con il governatore della Lombardia che si faceva riprendere con la mascherina incollata sul viso e quello del Veneto che continuava a sottolineare di «stare sul pezzo».
È accaduto così che in una sola settimana tre regioni, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna hanno fatto circa diecimila tamponi, quando la Germania, cioè un paese che ha più di 80 milioni di abitanti, ne faceva mille. Certo, le Regioni hanno quasi tutte le competenze in materia di Sanità. Quasi. Infatti, non a caso, abbiamo un sistema denominato Servizio Sanitario Nazionale. Esattamente come in Francia, dove, però, il ministro della Salute, fin dal primo giorno dà disposizioni che devono essere applicate su tutto il territorio nazionale. Senza eccezioni.