Quarantena al Nord per 16 milioni di italiani. L’impensabile è accaduto l’8 marzo: Giuseppe Conte con una procedura d’urgenza straordinaria ha deciso l’isolamento della Lombardia e di altre 14 province dell’Italia settentrionale (in Veneto, Piemonte, Emilia Romagna, Marche) per combattere la travolgente diffusione del Coronavirus.
Il presidente del Consiglio ha annunciato «misure rigorose» fino al 3 aprile: 1) stop all’uscita e all’ingresso dalle nuove “zone rosse” salvo motivi gravi e «comprovati» di lavoro, famigliari e di emergenza; 2) chiuse le scuole e le università; 3) serrati anche musei, teatri, palestre, piscine, centri sociali e culturali; 4) bar e ristoranti aperti solo dalle 6 alle 18; 5) distanze minime di sicurezza di un metro in tutti gli uffici e gli esercizi pubblici tra una persona e l’altra; 6) alt agli eventi e alle manifestazioni sportive aperte al pubblico (le partite si potranno giocare solo a porte chiuse).
La quarantena al Nord ha i connotati eccezionali dello stato di emergenza. Ma il decreto legge del presidente del Consiglio ha stabilito severi provvedimenti anche nel resto dell’Italia. Chiusi cinema, musei, teatri, scuole, università. Nei negozi, bar e ristoranti previste distanze di sicurezza anti contagio. Del resto l’Italia, dopo la Cina, è diventato il secondo paese al mondo per numero di malati e di morti.
La quarantena al Nord si profilava da alcuni giorni. L’invito a tutti e, in particolare alle persone anziane più a rischio, è di “restare a casa” per evitare il contagio del Coronavirus. Il governo teme una diffusione dal Nord al Sud del virus cinese e nelle regioni meridionali gli ospedali e le strutture sanitarie non sono così attrezzate come quelle lombarde, che pure stanno scoppiando sotto la valanga di ricoveri di malati di Coronavirus.
La Confindustria sta cercando di aiutare la continuità dell’attività produttiva per le aziende del nord Italia colpite dalla “botta” del virus cinese. Ma non è così facile: c’è un problema di fondi e di organizzazione del lavoro. Negli uffici pubblici e privati in genere è possibile ricorrere al cosiddetto “lavoro agile” a casa (smart working) ma nelle fabbriche ha un ruolo importante la presenza fisica dei lavoratori.
Lo spettro è la paralisi produttiva del Nord, il cuore dell’industria e dell’economia italiana. I negozi e le piccole imprese rischiano di chiudere, ma anche le grandi aziende sono in pericolo. Rischia il crollo tutto il tessuto del “Made in Italy”: auto, meccanica, elettronica, chimica, moda, tessile, legno, mondo dello spettacolo. Perfino Roma, lontana dal focolaio dell’epidemia, ha paura della crisi.
Il governo Conte ha stanziato quasi 8 miliardi di euro per sostenere le attività produttive e i redditi colpiti dall’emergenza sanitaria ma non basta. A una crisi strutturale occorre dare una risposta strutturale italiana ed europea. Il Coronavirus sta colpendo pesantemente un po’ tutta l’Unione Europea causando il crollo di tutte le Borse. Anche la Germania e la Francia (in una prima fase quasi esenti dal morbo forse per una sottovalutazione d’indagine e informativa del pericolo) sono nell’occhio del ciclone e stanno realizzando misure di emergenza.
La quarantena del Nord non basta. L’Italia non può affrontare questa colossale emergenza sanitaria, sociale ed economica con risicati stanziamenti frutto di una “maggiore flessibilità” sui malandati conti pubblici, cioè aumentando leggermente il deficit dello Stato. È il momento di rifondare l’Europa non pensando solo all’euro e al rigore finanziario, ma ponendo al centro le necessità vitali dei cittadini traumatizzati dal Covid-19 dopo essere usciti stremati dalla Grande recessione mondiale.
Occorre un grande piano di rilancio politico che sancisca la centralità delle esigenze degli europei: il diritto alla salute, al benessere, alla mobilità, al lavoro. C’è lo spazio per farcela: ora c’è una convergenza d’interessi tra Italia, Germania e Francia a vincere il Coronavirus e a sbarrare la strada al caos economico-sociale che rischia di provocare l’epidemia.
Ursula von der Leyen ha scritto per La Stampa un articolo intitolato «L’epidemia non fermerà l’Europa». Speriamo che la presidente della commissione europea, strenua sostenitrice della riconversione verde dell’economia della Ue, faccia seguire i fatti alle enunciazioni. Per ora, purtroppo, prevale un dannoso attendismo. Speriamo che Conte, assieme ad Angela Merkel e a Emmanuel Macron, sappia proporre un grande piano politico d’investimenti nella sanità, nelle opere pubbliche, nelle bonifiche ambientali e industriali, nelle energie rinnovabili, nelle tecnologie digitali, nelle biotecnologie.
Uno strumento potrebbe essere un “virus bond” emesso dalla Banca Centrale Europea che dispone di una gigantesca liquidità inutilizzata. È ora di dire basta alla politica delle “toppe” perché o l’Europa affronta i problemi dei cittadini o rischia di dissolversi, aprendo le porte a pericolosi sovranismi dai connotati autoritari. Certo si sente la mancanza di una testa pensante come quella di Mario Draghi.