Lo stato di emergenza proclamato nei paesi democratici per far fronte al contagio del Coronavirus prevede, necessariamente, la revoca di una serie di diritti individuali. Ma una cosa è “sospendere” temporaneamente la democrazia e altro è approfittare della pandemia per tentare di introdurre una dittatura.
Il primo a provarci è stato Benjamin Netanyahu. Il premier israeliano, dopo aver tentato per l’ennesima volta di conquistare la maggioranza alle elezioni politiche del 2 marzo scorso, ha pensato bene di bloccare ogni attività politica del Parlamento. Con la scusa del Coronavirus il presidente dell’assemblea, Yuli Edelstein, membro del Likud di Netanyahu, ha deciso di chiudere la Knesset.
Il generale Benny Gantz, leader di Blu e Bianco, la formazione politica che trae il nome dai colori della bandiera israeliana, ha attaccato pesantemente il Likud: «Non hanno una maggioranza alla Knesset e quindi la chiudono». Gantz era stato appena incaricato dal Presidente della Repubblica di tentare di formare un governo, grazie al sostegno di una risicata maggioranza di 61 deputati su 120.
Il blitz del Likud sta sollevando ovviamente le proteste degli intellettuali democratici. Yuval Noah Harari, uno dei più famosi scrittore israeliani, è sceso in campo con parole durissime contro Netanyahu: «Ha perso le elezioni, quindi ha chiuso la Knesset, ha imposto ai cittadini di stare in casa e adesso emette ordini di emergenza a suo piacimento. Questa si chiama dittatura».
Via con un tratto di penna, anche il Parlamento ungherese grazie a un disegno di legge di emergenza che consentirebbe al primo ministro, il populista Viktor Orban, di governare per decreto. Ma non è tutto, perché il potere legislativo, conferito al primo ministro in via emergenziale, non porta una data di scadenza.
Come se non bastasse, il provvedimento prevede anche pene detentive fino a 5 anni per «chiunque diffonda notizie false». Ma Orban taccia come «false» praticamente tutte le notizie pubblicate da giornali di opposizione. Quindi siamo di fronte al tentativo di cancellare ogni residua libertà d’informazione. Per la democrazia ungherese, già da tempo traballante, potrebbe essere il colpo di grazia.
Anche se non osano arrivare a tanto, molti leader politici di paesi democratici stanno comunque tentando di nascondere dietro l’emergenza determinata dalla pandemia scelte che hanno poco a che fare con il Coronavirus.
Per esempio, è ormai chiaro che l’«immunità di gregge» teorizzata dal premier britannico Boris Johnson, prima di essere costretto a ordinare la chiusura, quel «lockdown» che adesso costringe anche gli inglesi a restare a casa, nasceva soprattutto da un fine politico. Ossia dalla necessità di nascondere l’inadeguatezza del servizio sanitario nazionale, che non è in grado di far fronte a un’emergenza come quella determinata adesso dalla pandemia.
Una fragilità nata con lo smantellamento di fatto della Sanità pubblica inglese iniziata 40 anni fa con le famigerate privatizzazioni di Margaret Thatcher. Il che dovrebbe spingere tutti a riflettere sul modello economico neoliberista e su quella fede cieca nel “Dio mercato” che alla fine dei conti farà più vittime del Coronavirus.